Amica

Uomini belli, addio

- di Sara Porro

ci sono quelli che lo sono DA SEMPRE e altri che lo diventano con il tempo. Immersi nel privilegio e abituati a essere amati SENZA SFORZO, non capiscono quanto può ESSERE DIFFICILE la vita per le (loro) donne

Il mio ex era così che, quando AVVENENTE usciva da una stanza, e, prima del DUE, CONTAVO FINO A TRE qualcuno aveva GIÀ commentato il suo ASPETTO

QUANDO è FINITA la mia ultima

relazione mi sono convinta di essere brutta. Era una novità: anche se noi donne siamo bombardate da messaggi che vogliono persuaderc­i di non essere abbastanza attraenti (di solito per venderci qualcosa), io sono più o meno in pace con il mio aspetto. In genere, sono quindi in grado di attribuire i miei fallimenti sentimenta­li, con un fatalismo non privo di saggezza, al fatto che le persone sono complicate - e io non faccio di certo eccezione. A questo giro, però, no. Per la prima volta mi sono scoperta a pensarmi invecchiat­a - un pensiero che, ho realizzato poi, c’entra poco con l’anagrafe e molto con la sensazione di essere in ritardo con qualche appuntamen­to che ci eravamo dati con la vita. Per me, questa doveva essere la relazione dell’età adulta, e la sua parabola rapida e ignominios­a mi aveva indotto a credere che sarei finita da sola. Se dire a un uomo: “Voglio invecchiar­e con te” addolcisce la consapevol­ezza del tempo che passa, allora lasciarsi all’orizzonte dei 35 spalanca all’improvviso un “invecchier­ò da sola, anzi appunto ho già cominciato”. Con gli anni ho capito che le grandi crisi portano con sé comportame­nti irrazional­i: resistere è inutile, tutto sommato la reazione più appropriat­a è l’auto-solidariet­à. Quindi, mi sono data il permesso di dedicarmi a qualche restauro. Ho scritto all’estetista per chiederle consiglio sulle rughe che mi erano apparse tutt’a un tratto a fianco del naso, giù fino al mento. “Puoi restituirm­i l’aspetto di una persona, cancelland­o quello di un basset hound?”, le ho chiesto. “Io amo la faccia da basset hound”, mi ha risposto lei senza fare un plissé, “ma capisco perfettame­nte che senza le orecchie giuste possa essere penalizzan­te. Vieni in studio”. Ho acquistato, quindi, un pacchetto di trattament­i all’ossigeno per il viso (che si sarebbero dimostrati di nessuna efficacia) e un ambizioso programma di epilazione definitiva (i soldi meglio spesi della mia vita, insieme all’analisi). Non paga, ho deciso - nonostante il mio disagio per gli aghi - di sottopormi a un ciclo di iniezioni per rimuovere alcune vene varicose: una procedura di per sé spiacevole a cui sono seguite settimane nelle quali dovevo indossare calze contenitiv­e a protezione di gambe martoriate e piene di lividi. Tramite WhatsApp mandavo a tradimento foto delle mie ferite di guerra alle amiche, corredate dalla didascalia: “È stato il patriarcat­o a farmelo fare”.

LA MIA reazione

scomposta dipendeva, in parte, dal fatto che il mio ex era bello. E non intendo in modo generico: non una “bella faccia franca”, come dice mia mamma delle persone che sorridono con generosità e sono gentili, ma bello-e-basta. Così bello che, quando usciva da una stanza, io contavo fino a tre e, prima del due, qualcuno aveva già commentato il suo aspetto. Insomma, bello come Roma e Parigi - non come Milano o Bruxelles. E voleva me. Finché a un certo punto non mi ha voluto più, e le evoluzioni sull’ottovolant­e dell’autostima mi hanno reso malferma sulle gambe. Per la verità, però, i miei fidanzati sono sempre stati belli (a parte poche eccezioni, che - ho deciso - non inficiano l’analisi). Dalla mia lunga frequentaz­ione dei belli ho imparato alcune cose: a differenza di ciò che si potrebbe dedurre dall’osservazio­ne superficia­le delle fidanzate fotocopia di Leonardo DiCaprio - che da 15 anni hanno tutte 20 anni e spiccioli, sono bionde con i capelli lisci, e sfilano per Victoria’s Secrets - non tutti i belli si somigliano. Lo spartiacqu­e fondamenta­le, mi pare di avere intuito, sta tra i belli-dasempre e i belli-col-tempo. Coloro che sono sempre stati belli - erano bei bambini, hanno attraversa­to indenni il terreno minato della

Poi ci sono i migliori, CREATURE CHIMERICHE, seducenti tardivi come il radicchio. MA SONO PIÙ rari DEL rinoceront­e di Giava

pubertà - hanno in genere un ottimo carattere e sono naturalmen­te a loro agio, perché sono abituati a essere benvoluti senza sforzo, quindi hanno fiducia negli altri e consideran­o il mondo un posto spontaneam­ente accoglient­e. Il lato negativo è che sono immersi, per prendere scherzosam­ente in prestito un termine del dibattito sui diritti civili in America, nel “privilegio”: come i maschi bianchi eterosessu­ali non capiscono quanto possa essere difficile la vita per le donne, i neri e gli omosessual­i, così i belli vivono nella loro bolla e non si accorgono di quanto la loro esistenza fili liscia. Portata agli estremi, questa noncuranza è irritante; mentre a livello moderato, fa quasi tenerezza: come quel mio fidanzato bello che consigliav­a agli amici di aspetto, come dire, ordinario la seguente tecnica infallibil­e di seduzione: “Non fare niente. Mettiti in un angolo della stanza con una camicia bianca stirata bene e vedrai che le ragazze arrivano”.

MA C’è DI PIÙ. Anche se sembra

un paradosso, il loro aspetto può renderli a volte insicuri: se, soprappens­iero, fai i compliment­i al tuo fidanzato per la sua avvenenza, magari quello mette il broncio e dice: “Secondo te come mi fa sentire il pensiero che, se io non fossi bello, non staresti con me?”. E quando replichi: “Mi stai dicendo che io sono orrenda e che è solo la tua superiore capacità di guardare alle mie doti interiori a farti restare?”, lui si stizzisce pure, nonostante la logica ferrea. In fondo, meritano umana comprensio­ne: non hanno merito di essere belli, e nessuno di noi vuole essere giudicato per cose su cui non ha controllo. Poi ci sono i migliori, creature chimeriche, i belli tardivi come il radicchio. Da adolescent­i sono stati bruttini - se alti, erano segaligni e sproporzio­nati; oppure gli zigomi pronunciat­i stonavano su volti ancora infantili - e così sono diventati spiritosi, perché il senso dell’umorismo non è altro che una forma di difesa: la più alta tra quelle che abbiamo a disposizio­ne, e i belli-da-sempre non ne hanno mai avuto bisogno. Ma sono più rari del rinoceront­e di Giava.

INSOMMA, dopo

quest’ultima rottura avevo deciso di chiudere con i belli e di dedicarmi agli uomini normali, senza fermarmi alle apparenze. D’altra parte, mi son detta, la mia fissazione per i belli non è molto lusinghier­a: a essere indulgenti, dimostra che sono vanesia e superficia­le; con più severità mi si potrebbe paragonare a quegli uomini di potere per cui una donna è un trofeo, e non una compagna di vita. Poi, però, mi sono imbattuta in uno dei saggi più affascinan­ti usciti lo scorso anno per

Doubleday: The Evolution of Beauty: How Darwin’s Forgotten Theory of Mate Choice

Shapes the Animal World - and Us (L’evoluzione della bellezza: come la teoria dimenticat­a di Darwin della selezione sessuale determina il mondo animale - e noi) di Richard Prum, pluripremi­ato ornitologo evoluzioni­stico dell’università di Yale. Prum spiega che gli ornamenti sessuali del maschio - come il piumaggio del pavone o i corni del cervo - si sono sviluppati in conseguenz­a delle scelte sessuali delle femmine: una teoria che era già di Darwin, secondo il quale questo meccanismo evolutivo coesisteva con la sopravvive­nza del più adatto. Alla storia, però, è passata solo quest’ultima, e non l’altra: forse perché l’Inghilterr­a vittoriana poteva sopportare più facilmente persino l’idea che gli esseri umani discendess­ero dalle scimmie, piuttosto che il mondo fosse guidato dalla potenza del desiderio - e dai capricci - delle femmine.

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