Wonder WOMEN
ambiziose, CARISMATICHE, presenzialiste: le first lady di oggi offuscano anche i mariti. Le più agguerrite sono le LATINO-AMERICANE, seguite dalle STATUNITENSI. E se in Europa anche quelle dal carattere più forte mantengono un profilo defilato, le ASIATICHE cominciano a rompere le tradizioni
CHE LA CITTÀ di Managua, capitale del Nicaragua, sia tappezzata da centinaia di alberi natalizi non è il ghiribizzo di un architetto eccentrico. Da qualche anno, anche i palazzi istituzionali hanno cambiato veste: rigorosamente dipinti di un rosa che vira al lilla, colore augurale secondo Rosario Murillo, la potentissima first lady che da quattro mandati, di cui gli ultimi tre consecutivi, assiste il marito 72enne Daniel Ortega, ex guerrigliero che con il tempo si è trasformato in satrapo (recentemente nell’occhio del ciclone per le proteste sedate con il sangue). Poetessa rivoluzionaria che è riuscita a diventare portavoce del marito e vicepresidente, Murillo ha sistemato gli otto figli ai vertici della cosa pubblica e detta legge sull’agenda di governo. Non c’è ministro a lei inviso che resti in carica, né personaggio che si sia permesso una critica anche velata che non sia stato falcidiato. E infatti la chiamano “la presidenta”, e tra le rivendicazioni dei manifestanti c’è il suo ritiro. Sia pure in negativo, Murillo è solo l’esempio più clamoroso di una tendenza che, da qualche anno, si è affermata in America Latina: quella delle “primera dama” che, dalle quinte di una posizione defilata, si sono sostituite a mariti meno carismatici. Come nel caso della bella Nadine Heredia, ex first lady peruviana così amata dai suoi compatrioti - per le iniziative a favore dei poveri e per la grinta - da offuscare il più anziano consorte ed ex ufficiale Ollanta Humala. A dire la verità, anche lei ha perso il controllo a un certo punto. Ambiziosissima e corteggiata dall’opinione pubblica mondiale, nominata ambasciatrice della Fao e invitata ovunque, è diventata così invadente e presenzialista da alienarsi il consenso del Paese, oltre a essere coinvolta in faccende losche e finire sotto processo con l’accusa di riciclaggio di denaro sporco. A differenza di altre zone del pianeta, nel Subcontinente molte primera dama hanno un ruolo politico, ed è frequente che si candidino alla presidenza una volta terminato il mandato del consorte. Come l’honduregna Xiomara Castro, che due anni fa ha perso di poco le elezioni, dopo che il marito Manuel Zelaya era stato deposto da un colpo di Stato. E l’argentina Cristina Kirchner, che è stata l’influente first lady di Néstor Kirchner dal 2003 al 2007 e, poi, ha governato a sua volta fino al 2015, con grande vigore nonostante la precoce morte del marito (2010) l’avesse privata di un lucido consigliere. Nei due anni che sono intercorsi tra la sua elezione e la scomparsa del consorte, quest’ultimo fu un perfetto “first gentleman”, immancabile nelle occasioni pubbliche e internazionali, e autore inconsapevole di quella piccola rivoluzione di genere che trasformò quel ruolo in un incarico che non aveva nulla di umiliante. Oggi, infatti, è normale che una presidentessa abbia accanto una figura maschile, anche nel caso in cui sia divorziata, single o vedova.
UN ESEMPIO è la cilena Michelle Bachelet, che al suo secondo mandato (dal 2014 a marzo 2018) ha scelto come “primer damo” il figlio Sebastián Dávalos, sdoganando ufficialmente il termine presso i media e la gente. L’incarico di Dávalos non è finito bene, perché ha dovuto dare le dimissioni per uno scandalo innescato dalla moglie, ma questo è relativamente importante. Quello che conta è che l’intercambiabilità dei ruoli ha fatto passi da gigante, e che non è un caso se in prima linea ci sono le donne latino-americane, vittime di società maschiliste e violente, quindi più volitive e arrabbiate. Se è vero, infatti, che il ruolo delle first lady è cambiato in tutto il mondo, è in America Latina che questo fenomeno è più evidente: negli ultimi anni ben sei donne sono diventate presidentesse in Paesi
del Centro e Sudamerica. Il cambio di passo è destinato a diffondersi in tutto il pianeta, anche se per il momento è in quella immensa terra compresa tra Patagonia e Messico che le “first lady wonder women” sono più numerose e plateali, perfino rispetto all’evoluta Europa, dove anche le mogli più carismatiche mantengono un profilo defilato. Come la francese Brigitte Trogneux, che a quanto dicono è la vera ispiratrice della linea politica di Macron, suo alunno al liceo, di cui aveva intuito le potenzialità. O l’ex moglie del presidente russo Vladimir Putin, la 60enne Lyudmila Putina, che il premier ha conosciuto quando era un agente del Kgb e lei una hostess. Gli è rimasta accanto fino al 2013 quando, stanca di essere tenuta nell’ombra da un marito immerso nel lavoro e assente, ha deciso di chiudere quel matrimonio di cui, peraltro, non si è mai saputo molto.
MOLTE SPERANZE si ripongono intanto su Begoña Gómez, la moglie del neo nominato premier spagnolo Pedro Sánchez, nota per la forte personalità e l’impegno in organizzazioni non governative, che ha dichiarato di essere felice di stare accanto al marito, di cui condivide idee e programmi. Ci sono differenze di codici e di cultura. A una first lady europea non verrebbe mai in mente di partecipare alle riunioni di gabinetto, né di precedere il marito in una cerimonia ufficiale, come ha fatto Heredia, scatenando le proteste dell’establishment. E meno che meno di candidarsi una volta che questi termina il suo mandato. Uno dei pochi esempi al di fuori dell’America Latina è quello di Hillary Clinton: politica raffinata e donna intelligente, in qualche caso ha offuscato con il carisma l’immagine del presidente Bill, al cui posto si è infatti candidata nelle ultime elezioni, perdendo per un soffio. La splendida Melania Trump, invece, ha preferito ritagliarsi un ruolo di icona di eleganza da cui lancia ogni tanto qualche azzardo, come rifiutare di prendere la mano del marito nelle occasioni pubbliche o dichiarare: “Odio vedere i bambini separati dalle proprie famiglie”, in occasione dell’arresto di tutti i migranti al confine tra Messico e Stati Uniti. Anche i segnali di cambiamento che arrivano dall’Africa non sono dirompenti, e il caso della bellissima first lady marocchina Lalla Salma, 40enne che gira scalza per le stanze del Palazzo di corte, ex ingegnere informatico, appassionata di alta moda, è visto come un’operazione cosmetica più che come un cambiamento di sostanza, in grado di incidere sulla politica. Difficile, invece, valutare i segnali che arrivano da Cina e Giappone, dove le mogli dei premier Xi Jinping e Shinzo Abe hanno scatenato i media in diverse occasioni. La giapponese Akie Abe è salita allecronache per essere stata la prima first lady del Paese a partecipare al Gay pride e per aver espresso perplessità su molte scelte del governo, ma stando agli analisti si tratta di una tattica per ammorbidire l’immagine conservatrice del premier. E la cinese Peng Liyuan ha fatto storia per aver rotto con la tradizione discreta delle mogli dei segretari di partito, accompagnando il marito nelle visite ufficiali. È vero che l’elegante Liyuan non è una first lady qualunque. In passato era una delle cantanti folk più famose della Cina e, nelle vesti di fervente comunista, ha deliziato con la musica le truppe che hanno represso la rivolta di Tienanmen nel 1989. La descrivono come una donna dura, ambiziosa e molto amata dai suoi concittadini, e per quel fatto di Tienanmen dicono che Michelle Obama non abbia voluto incontrarla, ma lei non ha fatto una piega. Se c’è una first lady che può paragonarsi forse alle sue omologhe latino-americane è proprio lei.