Editoriale
Dopo 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma è innegabile che l’unione Europea sta attraversando un momento molto difficile. L’elenco è impietoso: rinascita dei nazionalismi, abbandono della Gran Bretagna e rischi di ulteriori referendum, attacchi terroristici e minacce provenienti dal cyberspazio, riemergere delle tensioni da guerra fredda, crisi delle banche, e non ultima, l’epocale crisi migratoria che, secondo alcuni dati, sta portando ogni anno in Europa circa un milione di migranti e rifugiati. Le coste greche e quelle italiane hanno subito la maggiore pressione perché bagnate dal Mediterraneo e più vicine ad aree funestate dalla povertà, da conflitti o regimi dittatoriali. Da oltre un anno il dibattito politico, non solo in Italia, si è andato concentrando quindi su quali fossero le politiche migliori per affrontare questo fenomeno biblico, e molti dei paesi europei hanno preso decisioni per lo più populistiche: innalzamento di muri, fili spinati, numero chiuso e quote (raramente rispettate) di migranti da accogliere, ripristino dei controlli alle frontiere. Uno dei capisaldi del trattato di Schengen, la libera circolazione fra i paesi membri, è messa in discussione e se si dovesse giungere al ripristino dei controlli dei passaporti ciò influirebbe sicuramente anche sul mondo del turismo, creerebbe ritardi e problemi agli oltre 20 milioni di persone che ogni anno viaggiano per affari, con un aumento dei costi e dei prezzi delle merci importate. Senza considerare i danni per le strutture alberghiere e tutta la filiera dell’industria recettiva. Il punto più preoccupante è che, sotto la spinta della ricerca del consenso elettorale, si punta più su misure emergenziali che su concrete politiche strutturali che permetterebbero la creazione di Centri di accoglienza gestiti e pagati direttamente dall’unione Europea in modo di alleggerire i costi sostenuti solo dai paesi più esposti al fenomeno, l’italia in primo luogo. Il tutto unito a una politica migratoria e a una cooperazione allo sviluppo comuni, affiancate a una politica sulla sicurezza e a una lotta al terrorismo condivise. Chi oggi in Italia, con slogan semplici, si augura un ritorno alla rigida difesa dei confini nazionali dovrebbe mettere nel conto anche le possibili conseguenze che la nostra economia potrebbe dover affrontare per le difficoltà legate a nuove pericolose politiche dei visti turistici, oppure a cadute di simpatia verso il nostro Paese. Il turismo è la vera unica risorsa che abbiamo: l’invito è a non sprecare anni di lavoro spesi a migliorarne l’immagine.