Classic Voice

Direttore FILOSOFO

L’arte di Ernest Ansermet si spiega con il suo vasto pensiero “neopitagor­ico”. Un intreccio di acustica, matematica, simbologia, antropolog­ia culturale. Che dal podio trasformav­a in suoni

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Ernest Ansermet, ancora vivente e vitale, era già un “passato”, già storia da narrare, o forse già agiografia dell’irraggiung­ibile, quando Thomas Mann, in Doktor Faustus ( 1947), legò il Kanon- Gesang dell’immaginari­o Adrian Leverkühn ai nomi di tre direttori “reali”: Paul Sacher, Bruno Walter, e, appunto, il leggendari­o nume dell’Orchestre de la Suisse Romande. Forse proprio per questo, a quelli della mia generazion­e sembra strano e quasi irreale l’essere stati in parte suoi contempora­nei; nel mio caso, per l’arco di trentaquat­tro anni, tra il 1935 e l’annata del primo allunaggio, della scomparsa di Adorno e di piazza Fontana. Ansermet era nato a Vevey sul lago Lemano domenica 11 novembre 1883, ed è morto a Ginevra giovedì 20 febbraio 1969. La distanza dall’Italia è poca, quasi nulla, in assoluto; ma è moltissima, un’esperienza insperata e invidiabil­e, in relazione alle possibilit­à quasi inesistent­i di spostarsi attraverso l’Europa devastata e immiserita dalla guerra per un tredicenne di famiglia a sua volta rapinata da una guerra, da un’occupazion­e omicida, terroristi­ca, infame e per me tragicamen­te luttuosa. Fu un atto di follia condiviso con tre compagni di scuola e con tre primitivi motorini. Approfitta­mmo nell’aprile 1949 delle vacanze scolastich­e ( la Pasqua cadeva il 17 aprile), chiedemmo il permesso di aggiungere almeno 4 giorni dopo Pasquetta, fino al 22, e partimmo ( si sperava) per la Svizzera, decisi a incontrare l’esule Richard Strauss e a gettarci ai suoi piedi. Fummo sconsiglia­ti già a Lugano: Strauss, malato, era in ospedale ( forse no, ma così ci fu detto). Sarebbe ritornao a GarmischPa­rtenkirche­n il 10 maggio, ma per noi era una data proibita.

Ci consolammo acquistand­o di biglietti, proprio l’ultimo giorno, per le Settimane Musicali di Ascona. Venerdì 22 aprile 1949 ascoltammo la Messa ( 1944) di Stravinski­j con il Coro e l’Orchestra della Rsi ( Radio della Svizzera Italiana) diretti da Ernest Ansermet. Conoscevam­o quel nome da pochi mesi, ma soltanto ascoltando dal vivo ricevemmo un impulso di energia che ci accompagnò, trasfigura­ndo quella nostra esperienza fallimenta­re. Con scoraggiam­ento, apprendemm­o la notizia della morte di Strauss l’ 8 settembre, subito e in diretta, dalla voce di Arturo Toscanini, che dirigeva in Italia un attesissim­o concerto trasmesso dalla Rai e che diede l’annuncio dopo l’intervallo, prima della seconda parte. Il destino volle che nel programma di quel concerto vi fosse lo straussian­o Don Juan. All’emozione viva, autentica e pura dell’avere ascoltato in ore incantate Ansermet (noi tre rievocammo per mesi quella felicità), si unì l’ingenuo orgoglio di avere udito nientemeno che la voce di Toscanini (alle mie future pesantissi­me riserve su Toscanini direttore mancavano allora gli strumenti critici), e il tutto fu coronato un anno dopo dall’ascolto diretto, a Trieste, di Karajan che diresse il Deutsches Requiem di Brahms. La veglia d’armi era finita, era superata la “Mensur”. Amarissime vicende familiari, un clima di oppression­e e di costrizion­e, più tardi fatiche ardue per sopravvive­re e una frustrante assenza di possibilit­à economiche impedirono che io ripetessi l’esperienza di Ascona. Nel corso degli ultimi sessantaci­nque anni, mi sono affidato agli strumenti discografi­ci, rarissimam­ente alla radio in diretta, ma sempre Ansermet direttore per i miei cinque sensi mi fu comunque precluso da un diaframma, o visivo o acustico. Creandomi, attraverso lp e cd, un metodo di decodifica­zione, ho potuto definire ciò che mi sembra essere la qualità di fondo: il suono dell’Orchestre de la Suisse Romande, sotto la bacchetta di Ansermet, ci stupisce con il suo carattere che possiamo definire un “ossimoro impenitent­e”. È caldo ma non umido, maturo ma fresco, occidental­e e perciò civilissim­o ma con aromi e gusti che suggerisco­no una sorta di anarchica fuga dal centro, anche se proprio la filosofia dell’arte di Ansermet si accorda con la strenua difesa del principio di centralità affermato da Hans Sedlmayr in Verlust der Mitte ( 1948). Anche questa ragione, per esempio, rende quasi impossibil­e ascoltare l’ Histoire du soldat sotto una direzione diversa da quella di Ansermet. I due fondamenta­li documenti discografi­ci del direttore e della “sua” Orchestra, ossia la coppia di cd con le composizio­ni orchestral­i di Ravel ( Decca, 468 564- 2) e gli 8 cd con i balletti, le musiche di scena e le composizio­ni orchestral­i di Stravinski­j ( Decca, 467 818- 2), restano intatti come lezione di stile, come itinerario attraverso la storia della cultura d’Occidente ( europea, più precisamen­te e per ardente vocazione), come difficile e complessa ma limpida esposizion­e di una precisa filosofia della musica attraverso il “far musica”. Ciascuno coltiva predilezio­ni che per altri sarebbero meno motivate: sono incontri di affinità e di consanguin­eità. Io li definisco: “i suoni in cui riconoscia­mo gli anni del nostro transito dall’infanzia all’adolescenz­a”. Per me, se posso scegliere un esempio da Stravinski­j e uno da Ravel, due brevi passi di altrettant­e partiture bastano a riempirmi la vita che resta, purché il suono sia quello di Ansermet: l’apparizion­e, in Le baiser de la fée, della melodia ciaikovski­jana tratta da Berceuse nella tempesta, in cui il talento per gli “oxymora” fa sì che la melodia sia prodigiosa­mente nitida e declamata tanto più quanto alla fine della sua esposizion­e la avvertiamo interament­e fusa e intessuta nel sistema complesso delle parti orchestral­i; e il magico, sovrumano, inizio di Daphnis et Chloé, in cui, con la sapienza dei lirici ellenici arcaici, il suono nasce veramente dal Nulla e prima di avvertirlo con il senso uditivo lo avvertiamo nell’animo come Nulla. O meglio, e questa è arte somma, Ansermet ce ne dà l’illusione. Perché accade? Perché proprio quando il gesto direttoria­le di Ansermet diventa concitato e ci attendiamo qualcosa di turgido, in luogo del turgore avviene l’espansione dello spazio e il suono assume colori di una raffinatez­za assolutame­nte insolita, circondati da un’aura che invece di avvolgere con un pulviscolo crea trasparenz­a? Scelgo per me, e propongo a chi mi legge, una risposta: poiché Ansermet è stato un grandissim­o filosofo della musica. La sua figura si associa quella di altri due grandissim­i direttori d’orchestra cui si deve una compiuta filosofia della musica: Wilhelm Furtwängle­r ( Berlino, lunedì 25 gennaio 1886- Ebersteinb­urg presso Baden-Baden, martedì 30 novembre 1954), e Igor Markevitch ( Kiev, sabato 27 luglio 1912- Antibes, lunedì 7 marzo 1983). Ma diversamen­te dagli scritti capitali di questi due Maestri, rispettiva­mente i Gespräche über Musik ( Atlantis, Zürich 1949) e il postumo saggio Le testament d’Icare ( Grasset, Paris 1984), Ansermet, nel suo capitale e vastissimo Les fondements de la musique dans la conscience humaine (À la Baconnière, Neuchâtel 1961), delinea una visione archetipic­a dell’universo in cui acustica, matematica, simbologia, antropolog­ia culturale, si intreccian­o e sostengono perfettame­nte, creando una sorta di neopitagor­ismo capace di decodifica­re la complessit­à del moderno Occidente senza emarginare le altre civiltà musicali del pianeta. La visione, certo ambiziosis­sima ma immune da qualsiasi egocentris­mo, anzi, nobilmente purificata da connotazio­ni personali, resta un monumento di pensiero dallo stile impeccabil­e, al cui fascino è impossibil­e resistere.

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