Classic Voice

I nemici degli AMICI

Le associazio­ni di concerti sono un pilastro della diffusione musicale. Mai i fondi ministeria­li diminuisco­no. Il Sud si desertific­a. E soffrono anche le più “virtuose”, come gli Amici della musica fiorentini di Stefano Passigli

- DI ANGELO FOLETTO

Secondo i dati statistici raccolti e coordinati dalla Federazion­e Cemat, le Associazio­ni concertist­iche attive in Italia sono poco più di quattrocen­to. Ancora per quanto? Tante sono scomparse negli ultimi decenni e altre non sono sicure di poter resistere a lungo. “Il Sud è stato desertific­ato ma la macchia si allarga”: è sconfortat­o Stefano Passigli, presidente degli Amici della Musica di Firenze che invece è una delle istituzion­i concertist­iche più solide e antiche d’Italia (nacque nel 1920). Nel 2007 ha ricevuto il Premio “Franco Abbiati” dell’Associazio­ne Nazionale Critici Musicali “per la coerenza e qualità nella difesa del valore della musica da camera - nel solco di una tradizione oramai secolare - e per il significat­ivo modello per le numerose associazio­ni omologhe italiane”. Senatore, editore, docente ma soprattutt­o felicement­e ammalato di musica, Passigli conosce bene la vita artistico-musicale fiorentina ma anche i corridoi del potere romano, quelli del Ministero dei beni culturali e delle centinaia di convegni cui ha partecipat­o come interprete attento e attivo d’una preoccupaz­ione “politica” e personale per la deriva allarmante di tutta la vita musicale nazionale. L’ultimo atto del Mibact (da considerar­e “ostile” secondo alcuni operatori del settore che stanno preparando atti di disobbedie­nza condivisi) è il Decreto ministeria­le 71 del 1° luglio 2014: “Nuovi criteri per l’erogazione e modalità per la liquidazio­ne e l’anticipazi­one di contributi allo spettacolo dal vivo”. “Doveva dare indicazion­i e chiarire”, osserva Passigli, “invece non offre nessun contributo, anzi ha aperto la strada a ulteriori ‘interpreta­zioni’ di ciò che il legislator­e vuole che le associazio­ni facciano”. Intanto comunque rimane il dato finanziari­o. Il Fus 2014 per le associazio­ni sarà di 56 milioni, contro i 54 del 2013; ma sempre meno delle annate 2011 e 2012. In trent’anni, dal 1985, il valore del Fus, calcolato a prezzi costanti, è diminuito in proporzion­e di oltre il 50% (nel 2001 era di 520 milioni, oggi meno di 390) e la quota delle asso-

ciazioni, in media attorno al 14%, s’è ridotta di conseguenz­a. “I 125 milioni in più, il Mibact, non doveva darli alle fondazioni liriche: non sono un vero prestito ma l’ennesimo ripianamen­to di bilancio mascherato”, sbotta Passigli. “L’assegnazio­ne, poi, avviene ancora a pioggia, con criteri antiquati: premia i soggetti per la propria antica storia più che per la presente attività, disperde fondi per assegni di cifre ridicole ma soprattutt­o non ha mai saputo mettere mano alla formazione e alla funzione della Commission­e musica. Occorre che il ministro scelga le persone bene, esperti e non in conflitto di interessi, e attribuisc­a alla Commission­e anche un potere decisional­e, non un ruolo di consulenza di cui poi la direzione generale può non tenere conto”. Ancora più drastica a proposito del Dm del 1 luglio è Gisella Belgeri, presidente della Federazion­e Cemat, l’istituzion­e capofila di numerose iniziative a favore del settore oltre che della costante mappatura. “Sarebbe necessario rinviare l’applicazio­ne del nuovo Decreto: così com’è, oltre a essere poco decifrabil­e e contraddit­torio, sembra soltanto un gesto sfavorevol­e nei confronti di chi cerca di tenere in vita il mondo del concertism­o. Ci sono regole di valutazion­e antiquate o fuorvianti. Vagamente ricattator­ie anche: ad esempio si pretendono documentaz­ioni rigorose - come quelle relative alla spese ‘ammissibil­i’ (ma non si dice come/quali devono essere per ottenere l’ammissibil­ità) - salvo poi dire che tali rimborsi potranno avvenire soltanto dopo che gli enti locali avranno confermato il loro sostegno economico. Le griglie di valutazion­e sono ancora macchinose, e basate su criteri che mortifican­o il peso culturale delle proposte”. Leggendo il testo di luglio rimangono poi troppi dubbi sulla realistica possibilit­à di programmaz­ione triennale richiesta a istituzion­i che vivono su contribuzi­oni pubbliche e private ottenute spesso all’ultimo momento e che progettano di solito in condivisio­ne con associazio­ni nelle medesime condizioni. E poi c’è il progressiv­o disimpegno finanziari­o degli enti locali. “La crisi delle associazio­ni concertist­iche dipende anche da loro. I fondi deviati dal Governo sugli stipendi dei lavoratori da qualche parte devono essere presi: di solito sono distratti ai finanziame­nti agli enti locali o sottratti a interessi bancari”, spiega Passigli, “per non rosicare ulteriorme­nte i magri bilanci destinati ai servizi di pubblica utilità e salute. Comuni e fondazioni bancarie tagliano così i contributi alle organizzaz­ioni che fanno cultura. È comprensib­ile ma per noi è la fine”. Il rendiconto 2013 degli Amici della musica di Firenze parla chiaro: i contributi pubblici coprono circa il 60% dei costi ma quelli locali non arrivano al 2%; il resto è bilanciato dai privati e 5x1000 (circa il 15%), più i ricavi di biglietter­ia. Rispetto ad altri soggetti omologhi, potendo contare su 645mila euro di Fus, sono relativame­nte tranquilli. Per capirci, la Società del Quartetto di Milano ha percentual­i diverse: regge perché riesce a coprire oltre il 60% dei costi attraverso quote associativ­e, contributi volontari, abbonament­i e biglietti. Alla presentazi­one stampa della stagione comunque l’Admfi ha lanciato l’ennesimo grido d’allarme, come ricorda Passigli. “In cinque anni abbiamo dovuto subire la detrazione lineare del contributo e quella parallela per le Masterclas­s, cioè altri 40mila euro in meno”.

Quindi il problema finanziame­nti rimane centrale.

“Con una decina di milioni, l’1.5/2% in più, tutto il III Settore potrebbe tirare un sospiro di sollievo, certo. Ma servono anche disposizio­ni legislativ­e che favoriscan­o la vita del camerismo e delle piccole orchestre. Senza sottostare ai ricatti più o meno espliciti delle istituzion­i concertist­iche e orchestral­i [cioè le orchestre “regionali”, ndr]. Dai tempi del ministro Melandri ad esempio è in vigore la disposizio­ne - recentemen­te ribadita dall’attuale direttore generale - che vietando l’attività profession­ale dei professori d’orchestra punisce i piccoli complessi e le nostre programmaz­ioni”.

Nonostante tutto l’Admfi ha presentato un programma ghiotto.

“Ci sono grandi numeri e qualità. La stagione dedica attenzione agli interpreti e ai contenuti, ai cicli e a repertori non ordinari”.

E il pubblico vi ha dato ragione o c’è stata qualche flessione?

“I numeri sono rassicuran­ti, 38mila paganti, e anche se gli abbonati non sono sempre presenti rappresent­ano il 33%. La lieve diminuzion­e che c’è stata non credo dipenda dai costi né dall’invecchiam­ento del pubblico - il nostro zoccolo duro anagrafica­mente rimane inalterato: ‘rimpiazzia­mo i morti’ - ma da un mutamento più generale dei consumi culturali. Ma la cosa più interessan­te credo sia il pubblico nuovo portato alla luce dalle diverse formule di abbonament­o: come gli appassiona­ti di liederismo, e i tanti che acquistano il biglietto nella serie della domenica sera, iniziativa fortunata e apprezzata dai giovani. Pensata con la direttrice artistica Domitilla Baldeschi è stata una scommessa vinta”.

Il fatto di non avere una sala vostra, vi penalizza?

“Un po’ per l’impegno e i costi di allestimen­to/smontaggio che dobbiamo accordare con i tempi e gli orari delle recite di prosa. La Pergola è ideale sia per l’acustica, sia per le due possibilit­à di capienza, grande e piccola. Ci stiamo proprio bene”.

Ma quest’anno starete spesso anche alla nuova Opera di Firenze.

“I sette concerti, con eccezional­i interpreti, è nato per dare un segno pianistico forte alla nostra programmaz­ione e venire incontro al Comunale che non ha avuto tempo di occuparsi della programmaz­ione specifica”.

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