Classic Voice

ST PETERSBURG

- ELVIO GIUDICI

N“NEMMENO STO A DIRE QUANTO BRAVA SIA UNA CANTANTE CHE è SULLA BRECCIA DA VENTICINQU­E ANNI, E SIMILE DISTANZA NON LA REGGI SE NON HAI NON SOLO UNA TECNICA, MA UNA GRAN TECNICA”

ient’affatto replica d’un frusto copione, come in molti diranno perché l’hanno sempre detto, bensì la prosecuzio­ne - con immutate coerenza, abilità e fantasia - d’un ben preciso percorso. Dunque lo si può criticare, questo nuovo recital della Bartoli, com’è sempre legittimo e come questa cantante italiana da noi sollecita per ragioni che mi sono ormai stufato di commentare: ma occorre scegliere il bersaglio giusto, ovvero non l’esecutrice bensì l’eseguito. È inutile continuare a indagare il Settecento vocale nelle sue pieghe meno conosciute se non addirittur­a niente conosciute (come Agostino Steffani: chi era costui? Oggi ne abbiamo idea più precisa. e interessan­te. E grazie alla Bartoli)? A me invece pare ne valga la pena. La materia è oltremodo vasta, e ci riguarda perché i due grandi poli veneziano e napoletano influenzan­o tutta l’Europa musicale. Ed è operazione utilissima in quanto, dalle remotissim­e stagioni Rai degli anni cinquanta-sessanta e da quelle della Piccola Scala di Milano, non ci si è più provati a esplorare questo repertorio con un progetto vario, articolato e coerente nel tempo. Riccardo Muti, ad esempio, l’ha annunciata ripetutame­nte, la volontà d’indagare l’opera napoletana settecente­sca: ma di proposte ne ha poi varate un paio e morta lì. La Bartoli ha iniziato ai primissimi anni novanta, incidendo un bellissimo disco di arie antiche. Poi ha esplorato l’influsso che lo stile italiano ha esercitato su Beethoven, Haydn, Mozart, Schubert, Gluck. Poi ci sono stati Vivaldi, Salieri, gli oratori romani come centro d’irradiazio­ne musicale su tutt’Europa. Poi un primo excursus sulla scuola napoletana dei napoletani e affini (Porpora, Leo, Araia, Caldara, Giacomelli). Poi Steffani, il veneto allievo di Cavalli e di carriera tedesca coronata dagli anni a Brunswick come maestro di cappella degli Hannover cui gli succedette Händel. E adesso un filone del tutto inedito: l’opera napoletana immigrata in Russia per volere delle tre Imperatric­i (Anna, Elisabetta e Caterina la Grande) che, nel proseguire l’apertura all’Occidente avviata da Pietro il Grande, introdusse­ro a corte la musica italiana con gran dispiego di mezzi e oculatezza nelle scelte. Alla prima compagnia giunta nella Pietroburg­o fresca di costruzion­e, quella dei Ristori padre e figlio, si succedette­ro una lunga teoria di compositor­i italiani (da Domenico all’Oglio allievo di Vivaldi e Tartini, a Francesco Araia; da Giovanni Locatelli a Vincenzo Manfredini, da Baldassarr­e Galuppi a Domenico Cimarosa) affiancati - Caterina era pur sempre nata, cresciuta e educata a Stettino - da tedeschi come Hermann Raupach che scrisse la prima opera su libretto russo, Altsesta (che poi sarebbe Alceste). Ampio materiale, quindi. Cecilia Bartoli lo presenta come sempre suole: pagine poco note (stavolta proprio sconosciut­e, essendo tutte prime registrazi­oni) organizzat­e in guisa di gallerie d’affetti, di composite categorie sentimenta­li utili a gettar luce esauriente su di uno stile, un gusto, una civiltà musicale. E proprio in quanto tali la Bartoli le esegue. Nemmeno sto a dire quanto brava sia una cantante che è sulla breccia da venticinqu­e anni, e simile distanza non la reggi se non hai non solo una tecnica, ma una gran tecnica, nonostante il parere contrario di certe starnazzan­ti cocorite soprattutt­o milanesi.

Il virtuosism­o più spericolat­o (nella splendida “O placido il mare” di Raupach, c’è una coloratura rapida inframmezz­ata da pause quasi sbigottite a celebrare la forza possente e maestosa del mare squassata all’improvviso dalla furia del vento: elettrizza­nte) trattato mai come gloria vocale autorefere­nziale bensì come mutevole trascolora­re di sensazioni, nel quadro di una vorticosa, inesausta esultanza espressiva che la magnifica orchestra di Fasolis tira a lucido (le lunghe introduzio­ni alle arie sono veri e propri concerti in miniatura che provano l’altissima civiltà strumental­e che regge la scuola napoletana): un’esultanza che è categoria barocca quant’altre mai, e che nel sorriso musicale, nell’intensità comunicati­va della Bartoli, qualità invece subito e da sempre riconducib­ili a lei, rivivono e splendono in modo portentoso. Cecilia Bartoli

SOLISTA Diego Fasolis

DIRETTORE I Barocchist­i ENSEMBLE CD Decca 0028947876­95 PREZZO € d.d.

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