Ascoltare la perfezione
Troppo spesso, forse, ci si occupa di musica con prevalente attenzione al momento dell’ascolto, facendone discendere il giudizio sul compositore e sull’interprete. Da qui le varie guide all’ascolto e i consigli per meglio effettuarlo. Legittimo, allora, chiedersi – secondo il format di questa rubrica – quanto l’ascolto musicale sia cambiato rispetto al passato e quali siano le prospettive future. La differenza, a pensarci un attimo, è abissale. I nonni dei nonni di oggi hanno ancora vissuto in un mondo dove poteva succedere anche nella musica d’arte - e di un’arte eccelsa - che ascoltatore ed esecutore coincidessero nella stessa persona, o che la cerchia di pochi intimi, attorno e vicino, facessero quasi tutt’uno con lui. Fu così - come ognuno sa - per il madrigale nelle corti rinascimentali, o per il quartetto d’archi nelle dimore nobiliari e borghesi di Vienna, o nelle cosiddette “schubertiadi”. Durante tutta la sua vita D’Annunzio ci parla di ascolti ravvicinati, tra intimi, mentre “Ciccillo” Tosti intona le sue canzoni non ancora pubblicate, o mentre l’amante Laura Baccara - pianista ragguardevole - esegue Chopin e Schumann quasi solo per lui nel salone del Vittoriale. La più bella illustrazione di questa vicinanza sta secondo me in un quadro di metà Ottocento che raffigura Bettina Brentano che ascolta un quartetto d’archi (immaginiamo di Beethoven o di Schumann) standosene tra i leggii degli esecutori, quasi facendosi abbracciare da loro. Era quindi una vicinanza fisica. “Quella” musica non era fatta, per chi l’ascoltava, di puri suoni, ma apparteneva a corpi resi pulsanti dalla ten- Dipinto di Lawrence AlmaTadema (1881) “Alceo suona davanti a Saffo” sione di riprodurre - al di là delle difficoltà tecniche e della complessità del messaggio affidato alla carta dello spartito - l’idea del compositore: un’idea che si incarnava nel complesso muscolare e nervoso, addirittura nella respirazione e nel battito cardiaco dell’esecutore. È pur vero che dal Seicento il teatro, prima, e la sala pubblica da concerto, poi, hanno rotto questo magico contatto. Ma sono sorti tanti altri modi per contrastare la distanza tra il grande divo e chi vuole conoscerlo da vicino: se ne sono appropriati sapendo “tutto” di lui, invitandolo nel proprio salotto o - si pensi alle infinite conquiste femminili di Liszt - addirittura diventandone amante. Lungi dall’essere un futile snobismo, questi tentativi di entrare nei processi fisico-mentali del grande interprete sono un modo che conserva all’ascolto uno spessore di autenticità. Tutto questo mondo è stato cancellato con un tratto di penna all’avvento del disco e della radio: avvento di distanze incolmabili, di suoni inscatolati strappati al loro contesto, di vita domestica ipnotizzata dalla televisione, di rapporti sociali votati alla gastronomia molto più che a una qualsiasi musica. Credo che questa moderna condizione dell’ascolto abbia forti riflessi anche sull’andare a teatro o ai concerti: si chiede la perfezione più che la verità; si vuole riconoscere il già conosciuto, più che conoscere il nuovo che ci può donare chi abbiamo di fronte. Al fondo di questa deriva c’è YouTube, dove le esecuzioni (in genere mediocri e comunque mediocremente ascoltabili) spesso sono anonime o riferite a nomi che non ci dicono nulla. Forse mi sbaglio, ma pongo fiducia soprattutto in una tendenza crescente: quella dei libri di testimonianza che gli interpreti, sempre più volentieri, ci regalano intrattenendoci sui loro pensieri e le loro passioni, sulla fatica dell’apprendere e del memorizzare, sull’assimilazione pur sempre incompleta e precaria delle grandi opere, e così via: un viatico, insomma, verso la riumanizzazione del “perfetto risultato” senza contesto. Qualche nome a caso: Alfred Brendel, Hélène Grimaud e, fresco di stampa, Stefano Bollani.