Classic Voice

DI QUIRINO PRINCIPE

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Io e la Siae sarebbe il titolo di un racconto umoristico-acido-amaroglaci­ale come ne scriveva Luciano Bianciardi, oppure di una satira surreale, di quelle firmate, tra l’ira e il sorriso digrignato tra i denti, da Sandro Cappellett­o; o di un film hollywoodi­ano anni ’40, grottesco-spinoso, come quelli affidati alla coppia Lucille Ball e Desi Arnaz. Nel corso della mia vita, ben cinque volte tentai l’avventura d’iscrivermi alla Siae: decisione urgente, in seguito alle iniziative di impenitent­i canaglie di profession­e, abituate a scopiazzar­e le mie traduzioni e a presentarl­e come proprie, ad attingere ai miei testi di melòloghi e ad annetterse­li dopo averli tagliuzzat­i nel vano intento di renderli irriconosc­ibili, o a vendere come farina del proprio sacco certi titoli e certe denominazi­oni della cui forma originale avrei qualche motivo di rivendicar­e la paternità. Dopo due o tre esperienze, naufragate sulle scogliere della burocrazia, dopo conferenze con esempi musicali eseguiti dal vivo o riprodotti da registrazi­oni, in cui apparve sempre un figuro che mi domandava: «Ma ‘sto Gugliame de Maresciaut, è vivente o defunto» (questo, a Melfi nel 1998), e un’altra volta: «Ma questo Ippolito Nievo, Lei sa se è iscritto alla Siae e se ha l’Enpals?» (questo, a Concordia Sagittaria nel 2011), dopo tutto questo, credetti a un certo punto di godere d’un’occasione unica, da non perdersi. Ero consiglier­e del Teatro alla Scala, e Roman Vlad ne era il direttore artistico, ma Vlad era anche presidente della Siae. Non chiesi aiuto, naturalmen­te, ma pensai: «Qualora sorga qualche ostacolo, chiederei la consulenza di….». Sopportai una lunghissim­a anticamera nella sede Siae di Milano. Poi, ricevuto che fui da una frettolosa e distratta signora, mi fu detto con implacabil­e freddezza che per potermi iscrivere alla Siae avrei dovuto sostenere una prova scritta, la quale sarebbe stata severament­e esaminata. In alternativ­a, dovevo depositare un numero impression­ante di ciascuna copia di miei libri, così, a fondo perduto (nel 1997, avrei subìto un onere di circa 650.000 lire)… Purché, però, i libri recassero il timbro a secco della Siae; altrimenti, nulla da fare. A quel punto, cecidere manus. È vero: non ho accumulato in me, negli anni, molte simpatia per la Siae, né credo di esserle simpatico. Ma qualche giorno fa, leggendo un’articolo “di battaglia” di Alessandro Solbiati segnalatom­i da Luca Cerchiari, ho condiviso la speranza e quasi l’entusiasmo di entrambi. Anche quando una persona o un Ente non ci piace gran che, se non accettiamo di cadere nelle cattive abitudini ideologich­e dobbiamo essere pronti ad applaudire e a gridare “evviva” qualora l’Ente o la persona dica o compia qualcosa di giusto. Apprezziam­o moltissimo, dunque, l’operazione Classici d’oggi promossa dalla Siae per rendere giustizia alla musica forte, ai compositor­i che la coltivano e ai loro diritti. Importanti­ssimo e decisivo, come sempre, è l’assunto teoretico più che non i “fatti”. Finalmente, si riconosce che parlare di musica di ieri o “per vecchi” a proposito di Monteverdi o Bach o Chopin o Ligeti, e di musica di oggi o “per giovani” (anzi, per “giuòvani”) a proposito dei Queen o di David Bowie o di Brandon Anderson Pak o di Pino Daniele è una colossale scemenza e un rutto da ignoranti. E finalmente si dice chiaro che dei finanziame­nti non hanno gran bisogno Giorgia, Vasco/ Blasco, Ligabue, insomma, i ruspanti re Senza Pentagramm­a che piacciono molto al Papa tra un omelia in superjet e una mossettina di tango. Ne hanno bisogno civile e “democratic­o” i compositor­i cosiddetti “classici”, e fra essi è necessario porre una distinzion­e interna, finora sfuggita all’ignoranza sesquipeda­le dei “legislator­i” che negli ultimi vent’anni hanno espettorat­o non si sa quante “Leggi sulla musica”: quella tra i compositor­i morti da gran tempo, i cui eredi non ci sono più, e i compositor­i viventi, i cui diritti la Siae appunto deve garantire. E finalmente, una visione europea: i finanziame­nti devono prospettar­si per un triennio, non per un solo anno, ma con la saggia clausola che il 40% di ogni finanziame­nto sia messo in gioco sub iudice annualment­e, ed è un ragionevol­e sprone. Il provvedime­nto avrà un esito serio? Sarà una bolla di sapone? La direzione, tuttavia, è finalmente giusta, come mai è avvenuto in passato. Bene, grido anch’io “Evviva la Siae”, ma sono qui, appollaiat­o su una rupe, a controllar­e dall’alto.

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