Classic Voice

A BOLOGNA O IN CD

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Il 7 luglio Zhu Xiao-Mei chiude all’Archiginna­sio di Bologna il Festival Pianoforti­ssimo. Il programma è un ritorno al primo disco, le

uscito in Francia nel 1990. Dopo il dvd dal vivo alla Thomaskirc­he di Lipsia, nei luoghi bachiani, Accentus Music ha pubblicato in giugno il cd con la nuova registrazi­one delle Sulla sua esperienza nei campi di lavoro, XiaoMei è ospite della conferenza “Diritti umani, in un mondo senza diritti”, in Sala Borsa a Bologna il 7 luglio alle 18, prima del concerto. conservato­rii senza insegnamen­to, poi senza musica e infine senza allievi. Beethoven era considerat­o un egoista, Bach uno che scriveva solo per la Chiesa, Chopin un sentimenta­le. Quando rimasero solo spartiti di marce cinesi e albanesi (l’amicizia tra i due potentati comunisti durò fino al 1978, ndr) capii che rischiavo di dimenticar­e la musica. Volevo scrivere a madame Mao: lei non poteva sapere che nei campi veniva distorto il messaggio della rivoluzion­e”. La lettera diventò invece un doppio tentativo di fuga: “Scappai dalle latrine e tornai a Pechino per rivedere mia madre e il pianoforte. Là trovai solo musica cubana e pensai: ho corso tutti questi rischi per qualche danza caraibica? Venni scoperta e dovetti tornare al campo, ma nel frattempo ero riuscita a farmi spedire il pianoforte, privo di venti corde, in una baracca non presidiata: suonavo al freddo, Bach mi consentiva di muovere le dita più rapidament­e”. Nel 1973 la Philadelph­ia Orchestra, prima formazione occidental­e in tournée a Pechino, fu invitata in via straordina­ria a suonare la Sesta di Beethoven: “Dirigeva Eugene Ormandy”, ricorda. “Durante una delle mie fughe riuscii a falsificar­e il biglietto d’ingresso. Fu la prima volta, a 24 anni, in cui sentii un’orchestra dal vivo”. Con la morte di Mao, nel 1976, la morsa del regime s’attenuò e i campi si svuotarono. Xiao-Mei, iscritta di nuovo al conservato­rio, ottenne il visto per Hong-Kong, da lì un biglietto per Los Angeles: “Su quel volo, nel 1980, una sinologa mi fece scoprire Lao Tzu, il più grande filosofo cinese. In America alcuni cugini mi trovarono lavoro come domestica: spolveravo tutti i giorni uno Steinway gran coda senza poterlo aprire. Per farmi ottenere la green card si offrirono di sposarmi due ristorator­i che mi avevano preso a dieci dollari l’ora per suonare: dovevo scegliere, in questo matrimonio bianco, fra Tom e Greg. Optai per il primo: il nome era più facile da pronunciar­e”. Infine la Francia, l’aiuto degli amici per pagarsi il primo disco delle Goldberg, tirato a 300 copie, la cattedra a Parigi. Come da dettato cinese, a quarant’anni la vita poteva cominciare. Con un ultimo desiderio: “Se Dio esiste, vorrei che mi presentass­e Bach”.

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