ASCOLTI ASSOLUTI
Con il termine orecchio assoluto si intende la capacità di identificare l’altezza assoluta ( cioè la frequenza) delle note musicali senza l’ausilio di un suono di riferimento, come ad esempio quello del diapason. Secondo alcune statistiche, in media solo una persona su cinquantamila ha l’orecchio assoluto. Tali statistiche però si basano su test condotti solo su musicisti; i risultati vengono poi rapportati all’intera popolazione, assumendo quindi la discutibile ipotesi che chi non conosce la musica non possa avere l’orecchio assoluto. Ricerche sull’argomento condotte nel 2008 da parte della Eastman School of Music congiuntamente con il Department of Brain and Cognitive Sciences dell’Università di Rochester (USA) hanno invece stabilito che l’orecchio assoluto è in realtà molto più frequente. quali senza lo strumento o appunto un udito più che equipaggiato, sarebbero fortemente limitati. C’è un altro orecchio da sviluppare, quello “interiore”, che permette a chi compone di scrivere musica sulla carta senza l’ausilio di un pianoforte o di un computer che faccia loro ascoltare quanto stanno concependo, perché possono sentire interamente la musica nella testa e capire come suona complessivamente. È un po’ la facoltà che dava a Beethoven la possibilità di comporre anche una volta perso l’udito. “Il musicista deve saper organizzare i suoni, non solo riconoscerli. È più importante quindi, soprattutto per un compositore, aver sviluppato l’orecchio interiore”. Parola di Silvia Colasanti, che l’orecchio esteriore ce l’ha eccome, visto che è anche dotata del cosiddetto orecchio assoluto. L’orecchio assoluto consente di riconoscere in termini “universali” la frequenza di un suono senza l’ausilio di altri suoni di riferimento (come per esempio il diapason). Si dibatte spesso sull’utilità di questa specifica capacità, per alcuni innata, per altri (e ci sono esercizi all’uopo) acquisibile. “Io definisco comodo l’orecchio assoluto, ma non necessario”, spiega la compositrice. L’importante è che sia “ben educato (quello di chi ha masticato molta buona musica): ciò fa la differenza molto più dell’orecchio assoluto. Io scrivo senza pianoforte e non ascolto mai quello che ho fatto con le simulazioni al computer. Questa però è un’abilità che ho sviluppato attraverso l’analisi. Anche perché il pianoforte non ti dice il peso degli strumenti (il violino ha un ‘peso’ diverso dal flauto) e l’orecchio assoluto riguarda soltanto le altezze. L’ear training è importante anche per il senso timbrico, che ritengo più utile dell’esatta identificazione delle altezze. Il buon orecchio tuttavia si educa da piccoli con l’ascolto, con l’analisi e l’esperienza diretta del suono. Ci sono dei talenti naturali, è vero, ma credo che l’esperienza sia più importante… E poi l’orecchio assoluto può essere buffo, perché a volte vai a un concerto e ti capita di vedere i nomi delle note, prima che ascoltarle”. Se chi è in possesso dell’orecchio assoluto ne sminuisce l’importanza, si può immaginare cosa ne pensi chi non l’ha. Andrea Vitello, direttore d’orchestra particolarmente impegnato nella musica contemporanea, dice: “Quando ero studente la cosa mi sarebbe piaciuta perché mi avrebbe fatto comodo, soprattutto per la musica contemporanea. Poi ho capito che non è così utile. Abbiamo l’idea dell’intonazione come parametro assoluto, invece secondo me è una questione percettiva”.