ECCEZIONE UNGHERESE
All’inizio del Novecento l’impero asburgico comprendeva un numero elevato di lingue, dialetti e tradizioni nazionali, che esploderanno con la sua caduta e la frantumazione dello spazio mitteleuropeo. L’Ungheria è inoltre legata al ceppo delle lingue uraliche, come il finlandese e l’estone, e rappresenta quindi una specie di penisola culturale in mezzo a un mosaico etnico e culturale dove si sono mescolati per secoli popoli slavi, germanici e asiatici. più grande di qualunque altra cosa. I giorni che ho passato nei villaggi, in mezzo ai contadini, sono stati i più felici della mia vita”. Il confronto di Bartók con la cultura popolare, strettissimo e costante, ebbe una grande influenza sia sulle scelte compositive, sia sul suo pensiero politico e filosofico, che subì anche un’evoluzione nel corso degli anni. A Parigi, nel 1905, dopo aver fallito il Concorso Rubinstein, Bartók proclamava la superiorità della musica folklorica ungherese, idealizzava quel mondo rurale nel quale vedeva le radici autentiche e incontaminate dell’identità nazionale, contrapposto a una cultura urbana corrotta e superficiale. Anni dopo, fu proprio il lungo periodo di ricerche etnomusicologiche a svelargli quanto fossero profonde le contaminazioni tra culture diverse. Nel suo viaggio in Turchia ascoltò con grande stupore forme ritmiche e armoniche che avevano le stesse radici dei canti ungheresi. Scoprì l’importanza dei fenomeni di meticciato, rilevando la presenza di elementi comuni e ricorrenti (“Comparando il materiale raccolto fra i popoli di lingua differente, ho notato con sorpresa che molte melodie erano comuni, che i testi erano spesso simili, che esistevano veri e propri stili melodici del tutto analoghi”), teorizzando la nozione di invariante, che ha come corollario quello della “variazione” (e che ne fa un precursore dello strutturalismo e di Claude Lévi-Strauss), comprendendo che ogni cultura vive e si alimenta attraverso lo scambio reciproco con altre culture, arrivando addirittura ad auspicare un’“unione fraterna dei popoli”. Questo lavoro di ricerca rappresentò per Bartók anche un potente stimolo creativo. Di gran parte delle musiche raccolte fece trascrizioni, armonizzazioni, arrangiamenti, orchestrazioni, in un continuo processo di assimilazione che trova riflessi sia nel suo periodo fauve, fino al 1924, sia in quello neoclassico, dal 1926 in poi, caratterizzato dalla ricerca di un nuovo equilibrio formale. Bartók, che era an-