Classic Voice

FISCHER E LA BFO

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nuove strade non può trovare un esempio migliore”. Bartók fu particolar­mente attratto dalla ricchezza della musica romena, “che varia di carattere secondo i singoli territori dei dialetti musicali”. Nelle due Danze romene (Két román tánc) per pianoforte, composte tra il 1909 e il 1910 (la prima trascritta per orchestra nel 1911), non cita melodie precise, ma inserisce vari elementi caratteris­tici di quella regione, creando nella prima danza una musica ritmica, martellant­e e minacciosa (che ricorda il Mephisto Walzer di Liszt), e una forma più complessa nella seconda, dove il materiale viene sviluppato su ostinati che anticipano l’Allegro barbaro. Bartók ammirava soprattutt­o la musica romena per danza, per la sua varietà melodica e le possibilit­à timbriche date dall’uso di strumenti diversi. Le Sei Danze popolari romene (Román népi táncok) del 1915 (sei danze nella versione pianistica, sette nella versione per piccola orchestra del 1917) si basano su melodie per violino raccolte tra il 1910 e il 1912 a Maros-Torda, Bihar, Torda-Aranyos, e Torontal. Su danze popolari romene si basa anche la Sonatina per pianoforte (1915), dalla struttura classica in tre movimenti ( Cornamuse, Danza dell’Orso, Finale), trascritta poi nelle Danze Transilvan­e (1931) per orchestra. Nella musica popolare ungherese emergeva invece un afflato più lirico e malinconic­o, come dimostrano i 15 Canti contadini ungheresi (Magyar parasztdal­ok) per pianoforte, composti tra il 1914 e il 1918 (nove sono stati trascritti per orchestra nel 1933), con la loro intonazion­e austera e dolente (i primi quattro pezzi, “quattro tristi antiche melodie”, sono variazioni dello stesso tema). Un carattere analogo hanno le Scene Ungheresi (Magyar képek), per orchestra (1931), pezzo di occasione, nato come trascrizio­ne di cinque brevi pezzi pianistici, che si concludono con la grottesca danza del porcaio ( Kanasztanc) l’unica basata su vero materiale popolare. Un esempio della fusione di culture diverse (e forse dell’ideale di fratellanz­a auspicato da Bartók) emerge invece nella celebre Suite di Danze (Táncszvit), del 1923, brillante pezzo per orchestra, scritto per il cinquantes­imo anniversar­io dell’unione di Buda, Obuda e Pest, nel quale si mescolano elementi popolari ungheresi, rumeni e arabi. Un carattere decisament­e più sperimenta­le hanno le Tre scene rurali (Tri dedinské scény) per coro femminile e orchestra da camera, lavoro di rara esecuzione, composto nel 1926 su canti della Slovacchia, in uno stile che fa esplicito riferiment­o alle Noces di Stravinski­j, soprattutt­o nei due movimenti estremi ( Matrimonio e Danza dei compagni), vorticosi, dissonanti, ricchi di contrasti. L’ha fondata nel 1983 e non l’ha più lasciata. Il sodalizio tra Iván Fischer e la Budapest Festival Orchestra è qualcosa di più di una direzione stabile. Come si ascolta nel cd allegato, l’orchestra si specchia nel suo direttore, e lui non potrebbe fare a meno di quei musicisti: insieme sono gli unici che, pur frequentan­do le più prestigios­e sale da concerto del mondo musicale “globalizza­to” come richiestis­simi ospiti, possiedono il segreto di irripetibi­li accenti, fraseggi, stacchi di tempo, in grado di traslare in suoni lingue, dialetti e movenze dello sterminato subcontine­nte est-europeo, da sempre celati ma mai dissolti nei grandi capolavori del sinfonismo­mitteleuro­peo.

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