Non aprite quella porta
Toscanini – da quel burbero che era – sentenziò che “all’aperto si gioca solo alle bocce”. In realtà non disdegnò di dirigere l’orchestra della Scala nelle Sinfonie di Beethoven all’Arena di Milano. In quell’occasione le ragioni artistiche “pure” fecero i conti con le necessità finanziarie e promozionali del nascente Ente Autonomo del Teatro alla Scala, visto che all’Arena ci stavano cinque volte tanto, almeno, gli spettatori del teatro. Non c’ero [!], ma posso scommettere che il pubblico di allora sentì un Beethoven prosciugato e impastato nei bassi e squilibrato negli acuti (ad esempio ottoni sovrastanti di molto gli archi). Senza contare le differenze dinamiche enormi tra punto e punto di quell’ovale. Eppure i concerti ci furono e tutti - almeno a leggere i giornali - ne furono contenti, con grande soddisfazione soprattutto del tesoriere del nascente Ente Autonomo. Come si spiega questo consenso per un ascolto così precario e fallace, pur dando per scontato il magnetismo personale di quel sommo direttore? Gli psicologi ci mettono a disposizione un’esauriente spiegazione: coloro che già conoscevano quelle sinfonie - ed erano probabilmente la grande maggioranza - hanno “integrato” quello che effettivamente venivano percependo con le conoscenze pregresse. Si potrebbe chiamare in causa - estendendola - la cosiddetta teoria della Gestalt, quando non vediamo che manca una vocale o una consonante o una sillaba in una parola scritta, poiché la “integriamo” automaticamente sulla base dell’esperienza acquisita. In realtà, dunque, quegli ascoltatori perce- Anche quest’anno il concerto per Milano in piazza Duomo della Filarmonica della Scala ha fatto registrare decine