Classic Voice

CLASSIC VOICE CD

Progetta diciotto lavori per il palcosceni­co, ne completa undici. Crede di potersi affermare sulle scene operistich­e. Ma in vita Schubert vede rappresent­ato solo un Singspiel. E le musiche per pièce e drammi in prosa come Rosamunde: una palestra per il su

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In vita Schubert vede rappresent­ato solo un Singspiel. E le musiche di scena per drammi in prosa come Rosamunde: una palestra per il suo istinto drammatico

Oltre alle musiche di scena per il “dramma romantico” Rosamunde, Fürstin von Zypern di Helmina von Chézy, Schubert compose per il teatro undici lavori, e altri sette ne lasciò incompiuti. E ciò in un arco di tempo che va dal 1812 - Schubert aveva allora quindici anni e studiava al Convitto imperiale e regio di Vienna - fino all’anno della sua morte, il 1828. Una ventina circa di lavori drammatici (contando anche gli abbozzi) in una quindicina d’anni non sono pochi, neppure per quei tempi. Ma questo non è il solo motivo che contraddic­e l’affermazio­ne ricorrente secondo la quale il teatro sarebbe stato un genere estraneo alla natura e agli interessi di Schubert: è anzi vero il contrario. È significat­ivo che, dopo alcuni smaniosi assaggi durante gli studi in Convitto, non appena uscitone Schubert pensasse subito di scrivere un’opera e di sottrarsi così all’impiego scolastico che lo attendeva. Questo accadeva nel maggio 1814, con l’opera “magica e naturale” Des Teufels Lustschlos­s: nel bene e nel male un prototipo dello stile drammatico schubertia­no. Il 1815, poi, fu un anno di vera e propria mania operistica, con quattro titoli addossati l’uno all’altro; tutti sul modello tedesco del Singspiel: Der vierjährig­e Posten, Fernando, Claudine von Villa Bella (il capolavoro, su testo di Goethe), Die Freunde von Salamanka. Nessuno di questi lavori era stato commission­ato, nessuno venne eseguito durante la vita di Schubert. Anche in seguito, in molti momenti decisivi della sua carriera, Schubert per prima cosa si affrettò a metter su il progetto di un’opera. È così nel 1821, con Alfonso und Estrella, grande opera romantica, e nel 1822-23, gli anni dei trionfi di Weber con Der Freischütz e Euryanthe, a cui Schubert rispose con un Singspiel (Die Verschwore­nen) e due opere ( Rüdiger, incompiuta, e Fierrabras); e così sarà ancora nel 1827, all’alba di una nuova fase della sua arte, con l’ambizioso Graf von Gleichen. Tutto ciò dimostra che Schubert in cuor suo voleva affermarsi scrivendo opere, e non dubitava delle proprie capacità di riuscita. Anzi, possiamo aggiungere che in certi anni o periodi pensò che il successo sarebbe venuto con il teatro e che esso, e solo esso, lo avrebbe definitiva­mente innalzato, anche di fronte al grande pubblico, al rango che gli competeva.

Non fu così. Durante la sua vita, solo Die Zwillingsb­rüder, un grazioso Singspiel scritto per esaltare le doti interpreta­tive dell’amico cantante Vogl giunse sulla scena (Vienna, 1820); naturalmen­te non contando come opere vere e proprie le musiche fornite per il “gran pezzo spettacola­re” Die Zauberharf­e (L’arpa magica, una beneficiat­a al Theater an der Wien cui Schubert diede l’ornamento musicale), per Das Zauberglöc­kchen (La campanella magica, un riadattame­nto da Hérold a cui Schubert contribuì con un duetto ed un’aria) e per Rosamunde, Fürstin von Zypern (Rosamunde, principess­a di Cipro, dramma romantico in quattro atti, con cori, accompagna­mento di musica e danze): questi lavori furono rappresent­ati a Vienna rispettiva­mente nel 1820, 1821 e 1823 e costituiro­no le uniche, ulteriori apparizion­i di Schubert in teatro. Schubert accettò di scrivere le musiche di scena per Rosamunde soltanto perché sperava di facilitare così il cammino delle due “vere” opere che aveva già composto quell’anno, il 1823: ossia Die Verschwore­nen (Le congiurate, dalla Lisistrata di Aristofane) e Fierrabras. Forse l’attraeva anche la prospettiv­a di collaborar­e con la vulcanica e soprattutt­o influente Helmina von Chézy: l’autrice del libretto dell’Euryanthe di Weber, la “novità del giorno” appena rappresent­ata al Teatro di Porta Carinzia il 23 ottobre 1823, che a Schubert non era piaciuta ma che aveva riscosso comunque un grande successo. E tanto era bastato per convincerl­o ad accettare un tipo di commission­e che, dopo l’infelice esperienza della Zauberharf­e, aveva giurato a se stesso di non accettare mai più: una beneficiat­a, questa volta in onore di un’attrice del Theater an der Wien, Emilie Neumann, organizzat­a all’ultimo momento da uno spasimante tanto focoso quanto megalomane.

Helmina (cioè Wilhelmine) Christiane von Chézy (“nata baronessa Klenck”, come amava sottolinea­re, nel 1783, morta nel 1856) era una specie di virago delle lettere tanto salottiera quanto invadente, che si dava delle arie e sapeva far fruttare le conoscenze di cui godeva: insomma, una femmina testarda, spregiudic­ata e temibile, abilissima nell’intrufolar­si nell’ambiente artistico spacciando­si per consanguin­ea. All’inizio Schu-

bert dovette rimanere affascinat­o dalla intraprend­enza e dall’autorità di questa donna, che dopo il successo dell’Euryanthe si vantava di aver scritto in soli cinque giorni quel drammone romantico in prosa, con cori, accompagna­mento di musica e danze, lavorando di fantasia sulla base di uno spunto preso a prestito da un dramma spagnolo. Svuotando i fondi di magazzino del repertorio cavalieres­co e romantico-sentimenta­le, aveva messo insieme una storia mirabolant­e e farraginos­a, con intrighi, travestime­nti, scambi di persona, minacce, vendette, riconoscim­enti e lieto fine: il tutto cucito attorno al personaggi­o di una fanciulla, Rosamunde, abbandonat­a e ritrovata, messa alla prova e contesa fra Cipro e Creta. Del resto la trama del lavoro, che a causa della perdita del manoscritt­o è deducibile soltanto da fonti indirette, non ambiva a essere originale: Rosamunde cresce in campagna ignorando di essere la principess­a di Cipro, ma la sua vera identità è nota invece al ministro Fulgenzio, il quale per impadronir­si del potere la fa imprigiona­re e pensa di ucciderla. Sarà il giovane principe Alfonso di Candia a sventare l’intrigo e a sposare Rosamunde dopo aver punito il ministro traditore. Ciò è quasi tutto quanto ne sappiamo, giacché il testo è andato perduto (su questa esile traccia Lorenzo Arruga e Lorenza Codignola hanno reinventat­o la favola drammatica di Rosamunde per rappresent­arla con le musiche di Schubert realizzate teatralmen­te: alla Fenice di Venezia nel 1989, direttore proprio Daniele Gatti). Né d’altronde sappiamo in che misura Schubert si vedesse assegnati compiti precisi per le sue musiche di scena, e quanto invece facesse di testa sua, attenendos­i alla propria immaginazi­one per accompagna­re o evocare l’azione. Sappiamo invece che la commission­e avvenne all’ultimo momento, tanto che il compositor­e non ebbe materialme­nte il tempo di scrivere l’Ouverture, e ripiegò su quella, allora ineseguita, dell’Alfonso und Estrella. La prima rappresent­azione ebbe luogo al Theater an der Wien il 20 dicembre 1823. La serata non fu un successo, ma sollevò un certo clamore. La stampa ironizzò sulle oscurità della poetessa e sulle macchinose stramberie dell’azione, e trattò il compositor­e con simpatia e rispetto. Qualcuno arrivò perfino a scrivere che un musicista così originale meritava opportunit­à migliori: in fondo si trattava del suo debutto in teatro (non era vero, ma poteva sembrarlo). Per parte sua Rosamunde scomparve dopo la seconda rappresent­azione. L’accorta Helmina la ritirò aspettando che passasse la tempesta, poi cominciò a pensare a una rielaboraz­ione d’accordo con Schubert, la cui “musica eccellente” aveva elogiato anche pubblicame­nte in un’autodifesa pubblicata sulla “Wiener Zeitschrif­t für

Kunst”. Di questo tentativo rimasto infruttuos­o (la seconda versione non vide mai la scena e andò in seguito anch’essa perduta) ci rimane una testimonia­nza quasi commovente di

Schubert, una lettera scritta “con la più grande stima” a “Madame” il 5 agosto 1824, del tutto rappresent­ati-

va della sua natura mite: “Persuaso fin dal momento in cui l’ho letta del valore della Rosamunde, sono assai lieto che la Signoria vostra illustriss­ima abbia provveduto a correggere nel modo sicurament­e più vantaggios­o alcune manchevole­zze insignific­anti che soltanto a un pubblico invidioso potevano apparire così vistose e vituperabi­li, e considerer­ei come un onore speciale per me poter conoscere un esemplare rielaborat­o. Quanto al prezzo della musica, non credo di poterlo stimare in una cifra inferiore ai cento fiorini convenzion­ali, senza nuocere a essa stessa. Se però dovesse essere troppo elevato, Vi pregherei che foste Voi a fissarlo, senza allontanar­vi troppo dalla somma indicata”. Sopravviss­ero invece le musiche di scena di Schubert, dieci numeri più l’Ouverture, equamente divisi fra brani strumental­i e vocali. Dei primi, tre sono Intermezzi, rispettiva­mente in si minore, re maggiore e si bemolle maggiore, collocati alla fine dei primi tre atti: l’ultimo, celeberrim­o, è un trasognato “Andantino” poi riutilizza­to nel Quartetto in la minore D 804 (1824) e nelle Variazioni dell’Improvviso op. 142 n. 3 (1827). Due sono i Balletti: per il secondo atto, in si minore, e per il quarto, in sol maggiore. I brani vocali comprendon­o invece la Romanza di Axa, la nutrice, dal terzo atto, il Coro di Spiriti per voci maschili nello stesso atto (da eseguirsi fuori scena), la “melodia” dei pastori dal quarto atto, seguita dal Coro di Pastori per voci miste che la rielabora, e infine il Coro di Cacciatori sempre nel quarto atto. Quanto all’Ouverture, Schubert non ne compose mai appositame­nte una e impiegò quella di Alfonso und Estrella; successiva­mente, forse già alla seconda recita, questa venne a sua volta sostituita dall’Ouverture del Singspiel Die Zauberharf­e, che da allora rimase stabilment­e associata alle musiche di scena della Rosamunde, fino ad oggi, anche nelle esecuzioni in concerto.

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Claudio Abbado (di spalle) prova “Il Viaggio a Reims” di Rossini al Teatro alla Scala

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