STRUMENTI DELL’ORCHESTRA
I segreti del “legno che canta” spiegati (nel video) da Fabien Thouand, primo oboista della Filarmonica scaligera
Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants, / Doux comme les hautbois, verts comme les prairies, / Et d’autres, corrompus, riches et triomphants (Ci sono profumi freschi come carni infantili, /dolci come gli oboi, / e altri, corrotti, ricchi e trionfanti)”. Nella famosa sinestesia del sonetto Correspondances, Charles Baudelaire associa l’oboe alla dolcezza: una dolcezza non tanto avvolgente e vellutata (come quella dei profumi “ricchi e trionfanti”), quanto implicitamente nitida e luminosa. In effetti, se dovessimo pensare a un suono carezzevole per eccellenza, ci verrebbe piuttosto in mente il clarinetto; mentre il suono dell’oboe possiede una certa ambiguità, fra il dolce e l’aspro. Non è un caso che sia stato un poeta francese a evocarlo: il nome dello strumento, hautbois, fu dato nel tardo Seicento in Francia e significa “legno dal suono acuto”. Antenati dell’oboe sono l’aulòs dei greci, le tibie dei romani, il calamus medievale (da cui ciaramella, chalumeau) e il cinquecentesco cromorno tedesco. Sempre in Francia va ricercata l’evoluzione verso l’oboe moderno, per merito dei fratelli Hotteterre, che sviluppano in epoca barocca uno strumento più duttile della ciaramella, poiché in grado di emettere tutte le note della scala cromatica con una buona omogeneità. Fu ancora un francese, Hector Berlioz, nel suo Trattato di orchestrazione, a dare dell’oboe una delle descrizioni più pregnanti: “L’oboe è innanzitutto uno strumento melodico; ha un carattere agreste, pieno di tenerezza, direi perfino di timidezza. Il candore, la grazia ingenua, la dolce gioia, o il dolore di una creatura debole convengono agli accenti dell’oboe: li esprime meravigliosamente nel cantabile”. Transalpino è anche il primo oboe della Filarmonica della Scala, Fabien Thouand, che ci ha raccontato nei dettagli come lo strumento è fatto e come suonarlo al meglio: “L’oboe appartiene alla famiglia dei legni ed è fatto solitamente in ebano, un legno molto prezioso. È composto da tre parti: una superiore, una centrale e la campana”. La parte superiore ha sulla sommità un rigonfiamento (chiamato in gergo “cipolla”), al cui centro si inserisce “l’ancia doppia: si tratta di due lamelle di canna posizionate una sopra l’altra. L’ancia, sollecitata dal soffio dell’oboista, entra in vibrazione e produce il suono”. Un’altra particolarità dello strumento, rispetto ad altri legni, è la forma della cameratura: “Un foro conico molto stretto nella parte superiore e più largo in quella inferiore, fatto in modo da produrre un suono molto vivo e acuto”. Nient’affatto banale è il modo in cui l’oboista deve accostarsi all’ancia: Thouand spiega che “bisogna prima
Suonare quasi in apnea per gestire quantità d’aria e i respiri fra le frasi. Questo il segreto per un’equilibrata gestione dell’intonazione e delle dinamiche. Questo e altro lo spiega (nel video) Fabien Thouand primo oboista della Filarmonica scaligera
di tutto avvolgere l’ancia con le labbra: si portano le labbra sopra ai denti, in modo che il contatto con l’ancia sia fatto col muscolo e non coi denti”. L’ancia però non va stretta eccessivamente: “Se viene morsa troppo, l’ancia non vibra più”. Rispetto agli altri fiati, inoltre, per l’oboe non è necessario introdurre molta aria, ma occorre una grande rapidità: “Suoniamo quasi in apnea: dobbiamo gestire molto bene la quantità d’aria usata e il respiro tra le frasi, senza soffocare!”. La tecnica di fiato e la gestione della pressione sono fondamentali anche per intonazione e dinamiche: per suonare forte non basta certo soffiare con più veemenza. “Le dinamiche, il forte e il piano, non dipendono soltanto dalla quantità nella aria immessa, ma anche dal controllo delle labbra sull’imboccatura, che determina il grado d’intensità di vibrazione dell’ancia. Alle tecniche tradizionali di emissione, si sono aggiunte nel Novecento tecniche sperimentali come il Flatterzunge: una sorta di rullo della lingua che produce un effetto di tremolo”; e i “multifonici, suoni prodotti contemporaneamente grazie a particolari diteggiature”.
Come per altri tipi di legni, esistono differenti tipologie di oboi: oltre all’oboe soprano (in Do), che costituisce la taglia principale della famiglia, i più rilevanti sono il corno inglese (che, a dispetto del nome, è di fatto un oboe contralto), l’oboe d’amore (mezzosoprano), l’oboe da caccia (ovvero il corno inglese dell’epoca barocca). Ormai in disuso è l’oboe musette (sopranino in Fa).
Le più rlevanti scuole oboistiche sono “quella francese, quella tedesca e quella inglese: mentre la prima è più indirizzata alla pratica solistica, le altre due sono più volte alla pratica orchestrale, all’abitudine a cercare un suono adeguato alla musica d’insieme. Poiché oggi, però, gli studenti si spostano più facilmente per il mondo e sperimentano differenti approcci, le differenze di scuola sono meno accentuate. Così può capitare che la tradizionale chiarezza del suono francese ceda il posto a un colore più scuro e avvolgente”.