Classic Voice

Storie di ordinaria miseria (morale)

- IERI, OGGI. E DOMANI?

Ieri succedeva che al termine di un concerto di fronte a un regnante, il musicista - che magari si chiamava Mozart - si vedeva offrire una tabacchier­a. Magari sarà stata anche d’oro e di fine fattura: ma di tabacchier­e d’oro (che non sta bene correre a rivendere) si può morire di fame, proprio come Creso.

Ma la tabacchier­a era pur sempre un bel compenso rispetto a quello che toccava alla grande maggioranz­a dei musicisti chiamati a corte. Il compenso consisteva nel permesso di sedersi a tavola - naturalmen­te con la servitù - e di mangiare a volontà. Questo avveniva nel cosiddetto ancien régime quando alcuni imbecilli, o furbi di tre cotte, erano convinti - o finto-convinti - di avere il sangue blu. E i musicisti facevano parte di quelli a cui mancava il sangue blu. Altri diversissi­mi tempi, tutti stanno a dire. Ma non ne sarei così sicuro. So di musici moderni, bravissimi e preparatis­simi, che, invitati a suonare dal comune di Roccacannu­ccia, ci vanno anche se l’onorario non c’è. Vitto e alloggio, e siine felice. Ci fai punteggio e, quasi quasi ci penso per la prossima volta, dovresti esser tu a pagare perché ti fa titolo. Oppure. Sei bravo, sei bello (può succedere), sei giovane (neppure più tanto, ma lo spirito è quello che conta). Hai laurea, anche specialist­ica, hai diploma triennale e biennale, corso abilitante … tutto di tuo, nessuno ti ha regalato niente. Ti hanno anche fatto iscrivere a un corso di perfeziona­mento con quel figlio di una mignotta che non sa suonare molto bene, ma è figlio di papà che fa il presidente tuttofare del conservato­rio locale. E fa quello che vuo- le: assume chi gli pare, e, soprattutt­o, paga come vuole. Ti paga per 12 ore e tu ne fai 28. Ringrazia, schiavo. Meglio di niente, no?

Ma tu abiti a 1000 km di distanza e, per andare al lavoro, viaggi di notte prima delle lezioni. E poi accorpi i giorni di lezione per non spendere tutto in viaggio. E poi, se ti fermi due o tre giorni di seguito, cerchi una sistemazio­ne che più economica non si può: una stanza a rotazione, con 3 o 4 letti. Ma di che ti lamenti? A casa ti hanno anche festeggiat­o perché avevi finalmente un posto. Ti hanno riverito: Maestro! E poi, non sono i soldi che fanno la felicità

Tutto bene. Tutto meglio di niente. “Per fare carriera bisogna fare sacrifici”. “Sono finiti gli anni delle vacche grasse”.

Tutto bene, ma perché per te è differente? A te, orchestral­e, non ti smuove nessuno, perché sei stabilizza­to e forse anche perché sei il responsabi­le sindacale interno. Lavori come me, magari sei persino meno bravo. Sei certamente più assente di me, tanto che mi succede spesso - a me seconda parte - di fare la tua parte. Che pretendo? sono arrivato dopo e sono precario. Ogni stagione è la solita paura di rimanere per strada. Per avere ancora il contratto, mi va bene tutto. O quasi. Tu, “docente” [mica solo insegnante, e nemmeno soltanto professore] al conservato­rio, più giovane di me, com’è che sei di ruolo qui vicino a casa tua? Mi dicono che dieci anni fa avevi la mamma che stava male, e ti hanno messo vicino a casa per curare la mamma (che poi, a dirla tutta, era curata magnificam­ente in clinica, senza che tu ci dovessi neppure andare). Così hai bagnato il naso a tutti. Poi la mamma è morta e a quel punto era evidente che non dovevi più abitarle vicino per curarla. Eppure il gioco era fatto. Per sempre. Grazie, mamma. Il posto vicino a casa nessuno me lo tocca più. Questa è un altro tipo di miseria. Quella morale. Nel passato forse questa differenza tra furbi e tonti non c’era perché, a meno che - un caso su mille - un santo protettore non ti facesse maestro di cappella in una chiesa o in una corte, nessuno garantiva nulla a nessuno. E non c’erano quelli che si facevano timbrare il cartellino da altri. E non c’erano quelli che si inventavan­o la mamma in carriola. Stavi male, alla mensa dei servi, ma ti sentivi come tutti. Oggi ti chiamano “docente” e “maestro”, ma, oltre ad avere le toppe più o meno metaforich­e sul fondoschie­na, hai sempre il dubbio che, se sei onesto, sei anche un poco fesso. Questa non è una novità da poco dei tempi moderni.

“Ogni stagione è la solita paura di rimanere per strada. Per avere ancora il contratto, mi va bene tutto. O quasi”

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