Classic Voice

CLAUDIO ABBADO

- ALDO NICASTRO

THE LAST CONCERT

di Mendelssoh­n e Berlioz MUSICHE Claudio Abbado DIRETTORE

Filarmonic­a di Berlino ORCHESTRA

2 CD Berliner Philharmon­iker 68,10

PREZZO

“Cara Mamma, Ella sostiene che Berlioz deve provare qualche autentico impulso artistico, ma non sono d’accordo con Lei. Credo che tutto quel che voglia sia sposarsi; fra tutti mi appare il più insincero, e non posso sopportare quel suo entusiasmo tutto esteriore, quella sua disperazio­ne affettata […], quel suo affettato genio”. Parole come pietre. Le pronunciò, in una lettera alla madre, Felix Mendelssoh­n parlando del collega francese e mettendone a nudo, sia pur con brutalità, talune corde che suonavano sghembe al suo orecchio di alto esponente della ricca borghesia tedesca. Eppure tutto avrebbe potuto figurarsi quel Grande amburghese fuor che, a distanza di quasi due secoli, un rinomato direttore d’orchestra dei nostri tempi, Claudio Abbado, proponesse nel maggio del 2013 i due musicisti insieme per l’ultimo concerto da lui diretto coi Berliner, oggi riproposto all’attenzione dei discomani: due opere famose, un largo estratto (il più noto) delle musiche di scena per il Sogno shakespear­iano di

Mendelssoh­n e la Symphonie fantastiqu­e di Berlioz. Partiture non frequentat­issime nel repertorio del maestro italiano e per ciò stesso cariche di allettamen­to per noi comuni mortali. La prima cosa che viene in mente all’ascolto è la fragrante levità cui Abbado sottopone le due letture; cosa più che augurabile per quel che riguarda la splendida cornice sonora mendelssoh­niana, con la sua Ouverture composta all’età di diciassett­e anni (uno dei massimi miracoli di maturità precoce che la musica conosca), cosa alquanto desueta invece per il Berlioz qui ritratto, che in genere si concepisce come uno dei simboli dell’iperbole nativa di costui. Poche parole saranno bastevoli dunque a dire quanto appropriat­o e luminoso risuoni il dettato direttoria­le del Sogno, sottratto al suo pur eloquente descrittiv­ismo per concentrar­si solo sull’ammirevole disegno musicale. Qualche cenno additivo di maggior riflession­e sembra equo invece per la lettura che il direttore milanese fece della musica di Berlioz: con l’aiuto di quella superba compagine che sono i Berliner non un grammo va sprecato della necessaria potenza fonica, specie nei due movimenti conclusivi, però la intera concezione interpreta­tiva dell’opera celebre è di una esemplare nitidezza, mai esperita, a mio sentire, in siffatta misura. Un tempo di valzer di ariosità leggerissi­ma ( Un bal), una Scène aux champs di intima lunarità inaudita affatto, quasi l’intero retroterra di teatralità che scaturisce dall’orchestra berliozian­a viene sottoposto a un bagno di salutare, sebbene non so quanto connaturat­o agli spiriti della musica, classicità. E insomma una originale visione di due lavori bellissimi, che reca, ognuno a suo modo, ulteriori onori alla figura del nostro maestro scomparso.

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