“ANDREA DE CARLO E LA SUA SQUADRA FANNO ONORE A TANTO BENDIDDIO”
“Il premio felice/ che in Cielo si serba”: così, perduta la Sinfonia iniziale, esordisce in medias res la brava Claudia Di Carlo nei panni di Humiltà. Lei e altre quattro figure allegoriche (Nobilità, Grandezza, Bellezza, Senso) sono gl’interlocutori di un personaggio storico dai contorni incerti come Edith di Wilton, giovinetta di stirpe regale sassone che nella seconda metà del X secolo guadagnò l’onore degli altari preferendo la pace di un chiostro ai fasti del trono inglese. Saranno stati i Gesuiti del Collegium Anglicum di Roma a commissionare, poco dopo il 1670, uno dei primi oratorî di Stradella? Non lo sappiamo; si registra comunque un certo successo per questo soggetto agiografico così esotico per l’Italia della Controriforma, poiché ne sono attestate almeno due riprese modenesi nel 1684 e 1692 (la dinastia estense era imparentata con gli Stuart). Libretto di Lelio Orsini che supplisce col magistero del verso all’esile contenuto drammatico; musica come sempre geniale del vulcanico Stradella, capace di trarre partito da un ridotto organico di basso continuo facendo giostrare le voci soliste fra bassi ostinati, cromatismi, recitativi, ariosi, ariette e concertati come a quell’epoca nessuno, ad eccezione dell’Orpheus britannicus Purcell, sapeva fare. Andrea De Carlo e la sua squadra fanno onore a tanto bendiddio; le voci - tre soprani, un contralto, un tenore e un basso - tutte belle, flessibili e storicamente informate, la ripresa dal vivo senza sbavature (il maestro in persona ha curato l’editing digitale). Quasi un’ora di beatifico ascolto supportata da un booklet redatto a regola d’arte. Non capita spesso.