Gli influssi di Gian Francesco
Gian Francesco Malipiero preferiva abitare ad Asolo piuttosto che a Venezia, la sua città. Amava vivere in una villa solitaria in mezzo a un giardino. Difendeva l’integrità storica di Asolo dalla speculazione edilizia e dal turismo commerciale. Le sue polemiche con il Comune erano aspre e continue sin dagli anni Venti: quasi un profetico Salvatore Settis. Si definiva la “Cornacchia di Asolo” e contestava le abitudini pratiche. Malipiero viveva di contraddizioni: rifiutava il presente ma, come compositore e didatta, era aperto al futuro. Viveva di stampe e manoscritti antichi (conservati nella sua preziosa biblioteca) e dialogava con fantasmatici teorici rinascimentali e perduti compositori marciani, ma era anche come pensiero il più originale musicista della avanguardia italiana del primo Novecento.
Ho frequentato con una certa assiduità il maestro ad Asolo. Nella sua casa non c’era luce elettrica né campanelli. Si ricorreva per farsi aprire la porta a un anello battente. Si entrava nella sua casa come in un antro oscuro, tra sinistri gufi impagliati appesi alle pareti. Quell’ambiente notturno sembrava evocare l’espressionismo del suo teatro giovanile. Il maestro ribadiva la sua ostilità per il rumore ( non parliamo della odiata musica elettronica) e la necessità di tutelare il silenzio. Ravvivava la cupezza con la sorpresa irresistibile della parola. Come conversatore aveva tutti i tic del genio: pungente, acre, con una folgorante aneddotica quasi sempre denigratoria. Pochi compositori e critici godevano della sua stima. Non sopportava lo Stravinskij neoclassico ma rispettava, seppure con ironia, Schönberg (intitolò scherzosamente il proprio ultimo pezzo sinfonico “Bel monte”, traducendone il cognome). Parlava con affetto di Maderna, sospendeva il giudizio su Nono, che invece gli riservava la sua devozione. Il suo mondo culturale era complesso: abitava con Zarlino e Vicentino, con i Gabrieli, Monteverdi e Vivaldi, ma credeva anche fortemente nella contemporaneità. Con i suoi allievi spaziava nelle avanguardie del secolo scorso. Convinse Maderna e Nono a seguire Hermann Scherchen, il profeta della nuova musica. Questa apertura alla musica nella sua totalità si coglie anche nel rapporto con il mondo della interpretazione. Penso agli allievi fedeli come Gino Gorini, Nino Sanzogno ed Ettore Gracis, artisti che vivevano nella sua area culturale, aperti a tutti i repertori, dal Settecento al Neoclassicismo e oltre. Le scelte antiromantiche e intellettuali di Malipiero, e la sua critica alla sclerosi dei programmi, a mio parere si rispecchiavano nello stile asciutto, fortemente razionale, degli interpreti che gli erano vicino. Gorini suonava integralmente, e talvolta correggeva, le opere pianistiche di Malipiero, il quale non possedeva una tecnica sicura (Anna Laura Bellina ha verificato interventi correttivi in alcuni manoscritti). Eseguiva gran parte della letteratura del 900 ad eccezione dei viennesi: Bartók era il musicista prediletto anche dal Gorini compositore. Il celebre solista aveva una fraternità musicale con il direttore d’orchestra Nino Sanzogno, anche lui legato all’anti-romanticismo che proveniva da Malipiero. Tuttavia se Gorini prediligeva un ferreo oggettivismo, Sanzogno era un formidabile improvvisatore, per la leggendaria facilità di lettura. Un grande direttore di cui va scomparendo la memoria, anche perché non era interessato al disco. Conosceva la grazia e la leggerezza del teatro settecentesco ma anche i labirinti di tutte le avanguardie storiche. Era stimato da Adorno e teneva corsi di direzione a Darmstadt. Fu il protagonista delle Biennali di Ballo e di Piovesan, dall’immediato dopoguerra agli anni Sessanta: Lulu di Berg e L’angelo di fuoco di Prokofiev, per la regia di Strehler, Marcia di Dallapiccola, Cardillac di Hindemith, Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic e varie opere di Malipiero (per ricordare alcuni titoli) furono presentati in prima italiana o assoluta proprio dal direttore veneziano. Anche Ettore Gracis discendeva dai lombi malipieriani. Rigorosamente neoclassico prediligeva lo Stravinskij del secondo periodo: aveva un gesto elettrico; gli interessava la lucida nitidezza cameristica. Fu naturalmente, come Gorini e Sanzogno, un solerte interprete del suo maestro. Mario Labroca, un altro malipieriano di elezione, gli affidò non a caso la direzione musicale della Fenice.
“Sonzogno, Gracis, Gorini sono esecutori devoti alla pratica di Malipiero”