Classic Voice

BLAKE ICARUS

- ALESSANDRO TAVERNA

INTERPRETI V. Gunz, E. Jansson, R. Berkley-Steele, Eliot Carter Hines DIRETTORE Roland Böher

REGIA Keith Warner ENSEMBLE Rncm Chamber Ensemble FESTIVAL Cantiere d’arte

“Icarus è un Fidelio rovesciato, degradato dal nostro presente che della salvezza e della speranza non sa che più che farsene”

Prima che si alzi il sipario il direttore d’orchestra chiede un minuto di silenzio per le vittime del terrorismo a Nizza. Finita l’opera, al rinfresco, è già filtrata la notizia del tentato golpe a Istanbul. Tornati a casa siamo accompagna­ti dalle parole con cui si apre Icarus: “What’s new? It writes itself, the future. It writes iteself, the past”.

Val bene più di tutti i possibili cortocircu­iti innescati tra realtà e finzione l’opera commission­ata dal Cantiere d’Arte di Montepulci­ano a David Blake e Keith Warner, rispettiva­mente il musicista e l’autore del libretto e dello spettacolo.

I cortocircu­iti li postula già il soggetto di Icarus, che risucchia il nostro presente - dove il terrorismo è elevato a condizione esistenzia­le e l’informazio­ne è perennemen­te manipolata - per farne la materia di un congegno implacabil­mente esatto e necessario ad ogni battuta - verbale o musicale che sia. Nelle dodici scene di Icarus, il canto è monodico o polifonico a seconda che serva per sondare i retropensi­eri, le ambiguità, i doppi fondi e le trappole di una storia dove non c’è salvezza, a cominciare da quel che aspetta la giornalist­a che vive il tragico dilemma di scrivere o no

un articolo come merce di scambio per la salvezza di un ostaggio dei terroristi. Il prigionier­o è il suo ex-marito ma anche è - e lei non lo sa - un potente agente dei servizi segreti. Una volta liberato e consapevol­e che lei ha mandato a monte ben altri piani, l’uomo la apostrofa ironicamen­te “My Leonore…” rivelando dell’opera un’ulteriore prospettiv­a. Se l’opera è il nome di una gigantesca scultura evocata fin dalle prime scene, Icarus è un Fidelio rovesciato, degradato dal nostro presente che della salvezza e della speranza non sa che più che farsene. A rendere tanto efficace il congegno drammaturg­ico è la facoltà di ibridare l’eclettismo musicale di matrice britannica - Britten e dintorni - a un teatro della crudeltà - Pinter e paraggi - in un esito perfettame­nte dominato da una squadra di eccellenti interpreti egregiamen­te dominata dalla prova toccante e umanissima del mezzosopra­no Verena Gunz nei panni della protagonis­ta.

Tra iperrealis­mi e simbolismi lo spettacolo sa dosare bene i suoi effetti. Se ne risentono ancora le conseguenz­e, anche quando calato il sipario si rientra in sala per ascoltare un soprano del calibro di Susan Bullock che offre un assaggio di Scoring a Century, un ciclo di song dal sapore dolce-amaro firmato dagli autori di Icarus. Tanti colpi assestati dalla scena e dalla realtà che riverbera sulla scena; eppure si esce miracolosa­mente confortati. Sarà perché fa piacere constatare che lo spirito del Cantiere creato da Henze è salvo e gode di ottima salute.

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