BLAKE ICARUS
INTERPRETI V. Gunz, E. Jansson, R. Berkley-Steele, Eliot Carter Hines DIRETTORE Roland Böher
REGIA Keith Warner ENSEMBLE Rncm Chamber Ensemble FESTIVAL Cantiere d’arte
“Icarus è un Fidelio rovesciato, degradato dal nostro presente che della salvezza e della speranza non sa che più che farsene”
Prima che si alzi il sipario il direttore d’orchestra chiede un minuto di silenzio per le vittime del terrorismo a Nizza. Finita l’opera, al rinfresco, è già filtrata la notizia del tentato golpe a Istanbul. Tornati a casa siamo accompagnati dalle parole con cui si apre Icarus: “What’s new? It writes itself, the future. It writes iteself, the past”.
Val bene più di tutti i possibili cortocircuiti innescati tra realtà e finzione l’opera commissionata dal Cantiere d’Arte di Montepulciano a David Blake e Keith Warner, rispettivamente il musicista e l’autore del libretto e dello spettacolo.
I cortocircuiti li postula già il soggetto di Icarus, che risucchia il nostro presente - dove il terrorismo è elevato a condizione esistenziale e l’informazione è perennemente manipolata - per farne la materia di un congegno implacabilmente esatto e necessario ad ogni battuta - verbale o musicale che sia. Nelle dodici scene di Icarus, il canto è monodico o polifonico a seconda che serva per sondare i retropensieri, le ambiguità, i doppi fondi e le trappole di una storia dove non c’è salvezza, a cominciare da quel che aspetta la giornalista che vive il tragico dilemma di scrivere o no
un articolo come merce di scambio per la salvezza di un ostaggio dei terroristi. Il prigioniero è il suo ex-marito ma anche è - e lei non lo sa - un potente agente dei servizi segreti. Una volta liberato e consapevole che lei ha mandato a monte ben altri piani, l’uomo la apostrofa ironicamente “My Leonore…” rivelando dell’opera un’ulteriore prospettiva. Se l’opera è il nome di una gigantesca scultura evocata fin dalle prime scene, Icarus è un Fidelio rovesciato, degradato dal nostro presente che della salvezza e della speranza non sa che più che farsene. A rendere tanto efficace il congegno drammaturgico è la facoltà di ibridare l’eclettismo musicale di matrice britannica - Britten e dintorni - a un teatro della crudeltà - Pinter e paraggi - in un esito perfettamente dominato da una squadra di eccellenti interpreti egregiamente dominata dalla prova toccante e umanissima del mezzosoprano Verena Gunz nei panni della protagonista.
Tra iperrealismi e simbolismi lo spettacolo sa dosare bene i suoi effetti. Se ne risentono ancora le conseguenze, anche quando calato il sipario si rientra in sala per ascoltare un soprano del calibro di Susan Bullock che offre un assaggio di Scoring a Century, un ciclo di song dal sapore dolce-amaro firmato dagli autori di Icarus. Tanti colpi assestati dalla scena e dalla realtà che riverbera sulla scena; eppure si esce miracolosamente confortati. Sarà perché fa piacere constatare che lo spirito del Cantiere creato da Henze è salvo e gode di ottima salute.