STRUMENTI DELL’ORCHESTRA
Un delicato equilibrio di legni diversi trasmette alle corde la vibrazione. Lo spiega (nel video) Francesco De Angelis, primo violino della Filarmonica scaligera
Benché esista una rappresentazione di uno strumento assai simile al violino su una statua risalente al XII secolo, in un tempio in India, si considera l’Italia come la culla del più acuto degli archi, che trae le sue caratteristiche da strumenti preesistenti quali la ribeca, la viella e la viola da braccio. I primi esemplari risalgono al 1520, nella zona fra Cremona e Brescia. Inizialmente il violino era considerato meno aristocratico delle viole: nel 1556, Philibert-Jambe-de-Fer scrisse che “noi chiamiamo viole gli strumenti dei gentiluomini, dei mercanti e delle persone di virtù […], mentre il violino è quello che si usa nelle danze”. Il violino nasce dunque come strumento popolare, legato alla festa, ai balli e alle mascherate, più che a sonorità intimistiche. Fra il Cinquecento e il Seicento, però, in Italia, il virtuosismo di strada si raffina: emergono figure di violinisti-compositori come Giovan Battista Fontana, Biagio Marini, Salomone Rossi; ed è poi con Corelli, Schmelzer e Biber che il potenziale tecnico-espressivo dello strumento si arricchisce, avvicinandosi a quello che conosciamo oggi (Bach ne dà una sorta di magistrale compendio nelle Sonate e Partite). Sempre in Italia, nel frattempo, si sviluppa una scuola di liuteria violinistica ancor’oggi considerata insuperata, che trova il suo zenith negli strumenti di Antonio Stradivari e della famiglia Guarneri. E italiani sono anche i violinisti-composi- tori che hanno dato maggiore lustro allo strumento: Antonio Vivaldi e, nell’Ottocento, Niccolò Paganini. Con Paganini il virtuosismo si fa talmente trascendentale da consolidare l’idea di violino come “strumento del diavolo” (già evidente nella Sonata “Il trillo del diavolo” di Tartini). Colpi d’arco di vario tipo, utilizzi arditi dei suoni pizzicati, suoni armonici rendono sempre più vaste le possibilità espressive e timbriche dello strumento, che nella letteratura del Novecento si allontana spesso dalla naturale vocazione alla cantabilità per ricercare sonorità anche aspre e percussive.
Come ci ha raccontato Francesco De Angelis, primo violino dell’Orchestra del Teatro alla Scala, “il violino è uno strumento fatto di equilibri delicatissimi. Esso è composto da almeno tre legni diversi: l’abete per la tavola superiore; l’acero per il fondo e le fasce; l’ebano per la tastiera. Alcuni piccoli elementi, come i piroli, possono essere in palissandro. Le quattro corde dello strumento poggiano sul ponticello, che trasmette la vibrazione delle corde alla tavola ar-
Un delicato equilibrio di legni diversi trasmette alle corde la vibrazione: dal ponticello alla tavola armonica, dall’anima al fondo dello strumento. Poi ci vuole un buon archetto per ricavare la giusta gamma dal piano al pianissimo. Questo e altro spiega (nel video) Francesco De Angelis, primo violino della Filarmonica scaligera
monica. Incastrata verticalmente fra tavola superiore e fondo vi è poi una bacchetta di legno, detta anima, che trasmette le vibrazioni al fondo dello strumento e bilancia la forza che viene impressa sulle corde”. Il bilanciamento della pressione, senza il quale lo strumento andrebbe in pezzi a causa della pressione esercitata dall’archetto, è assicurato anche dalla catena, un listello in legno di abete.
Le corde, fino a inizio Novecento, erano fatte utilizzando budello animale, soprattutto pecora, mentre oggi sono rivestite in metallo, con un’anima di fibra sintetica circondata da un avvolgimento di seta: ciò, pur rendendo meno morbido il suono, permette una maggiore intensità di volume e brillantezza, oltre a una maggiore stabilità dell’accordatura. L’archetto, “talvolta sottovalutato nell’immaginario collettivo, è talmente importante che può arrivare a costare fino a 100.000 euro. Esso non solo sfrega le corde, ma vibra a sua volta insieme al violino. Tale risonanza è quasi impercettibile, ma influisce fortemente sulle sfumature di colore del suono. Un buon archetto, dunque, esalta la potenziale gamma cromatica di un violino, soprattutto nel piano e nel pianissimo. Esso è fatto di pernambuco, un legno esportato principalmente dal Brasile, con parti in ebano e rifiniture meccaniche in argento, madreperla e, per alcuni preziosi esemplari, addirittura in oro. Se non ci fossero queste rifiniture, ad esempio, l’indice del violinista, sfregando sull’arco, ne consumerebbe il legno, scavandolo”. De Angelis ci ha tolto anche una curiosità: perché il violino si imbraccia a sinistra? “Perché, nelle esperienze primitive, ci si rese conto che condurre l’arco in maniera dritta e perpendicolare alle corde era molto difficile: perciò, data la maggioranza di destrimani, si affidò alla mano destra l’archetto. Per un mancino, naturalmente, sarebbe meglio il contrario: ma ciò significherebbe sconvolgere tutta la messa a punto dello strumento. C’è chi comunque ha scelto di imbracciare lo strumento a destra: per esempio Charlie Chaplin, che infatti era mancino”.