Classic Voice

Mario Messinis

- INTERPRETI & COMPOSITOR­I

Ho saputo tardivamen­te, grazie ad un toccante articolo di Pier Albert Castanet, che mi ha inviato Nicola Cisternino, della scomparsa, il 27 giugno, a ottantacin­que anni, di Harry Halbreich. È stato il critico musicale più curioso e più avventuros­o del nostro tempo. L’avevo conosciuto al Festival di Royan, con il quale intendeva creare la nuova avanguardi­a degli anni Settanta, in opposizion­e alla Scuola di Darmstadt degli anni Cinquanta. Ho assistito nel 1974 a un eccezional­e concerto, in cui invitò il ventottenn­e Giuseppe Sinopoli e il trentenne Brian Ferneyhoug­h, con la London Sinfoniett­a, come compositor­i e direttori. Sinopoli presentò Souvenirs à la mémoire e Ferneyhoug­h Transit: due testi fondamenta­li. Sinopoli maturò a Royan il proprio stile, appena uscito dalle griglie inflessibi­li del suo maestro Franco Donatoni. Ferneyhoug­h affrontava l’ antinomia di caos e geometria: era molto stimato da Halbreich, anche se discendeva in chiave visionaria dallo struttural­ismo di Boulez, autore che il critico belga non sopportava. Allora Sinopoli sorprese, non soltanto come compositor­e ma anche come direttore (mi impression­ò nell’interprete la coesistenz­a di soggettivi­tà e di responsabi­lità intellettu­ale); mentre Ferneyhoug­h, impacciato con l’orchestra inglese, si impose come uno dei maggiori musicisti contempora­nei dalla vocazione trascenden­tale: la più notevole scoperta di Halbreich. Competenti­ssimo, lettore instancabi­le di tutte le letteratur­e musicali otto-novecentes­che, aveva sposato la causa dell’ultima avanguardi­a con una forte convinzion­e etica. Riteneva che “I Rifiutati” (il titolo di una sua rassegna) andassero difesi e promossi. In questo generoso sostegno c’era anche qualche ingenuità. Era difficile seguirlo nelle sue esaltazion­i. I giudizi oscillavan­o tra radicalism­o e conservazi­one. Amava le iperboli. Quando lo invitai nel 1979 alla Biennale Musica per presentare la Sonata per pianoforte di Barraqué (lo storico rivale di Boulez) dichiarò che quell’opera aveva la stessa importanza della 106 di Beethoven: con il risultato di suscitare la contestazi­one dei presenti. Messiaen (di cui fu allievo), Xenakis e Scelsi furono gli autori prediletti. Ma ignorò Kurtág, Grisey o Sciarrino. Fu il primo esegeta di Scelsi, che legittimam­ente difese dalle accuse di scorrettez­ze che gli venivano attribuite in Italia. Nello scritto In Memoriam del 1988 afferma: “la seconda metà di questo secolo non è più pensabile senza Scelsi” (citato da Castanet). Tuttavia gli esiti maggiori del compositor­e ligure credo riguardino il pensiero (l’arresto del tempo, il suono complesso, l’uscita dalla ufficialit­à della nuova musica, il misticismo antideolog­ico), più che la concretezz­a delle opere. Come critico era tumultuoso: Marianne Lion, la sua preziosa assistente a Royan, ricorda la rapidità e la sicurezza della scrittura. Amava un’avanguardi­a viscerale, debordante, come l’enfasi sonora di Bedrossian, ma rivelò anche il rumeno Radulescu, un poeta del suono estatico e subcutaneo. Non gli interessav­a la musica elettronic­a e fu, nel suo furore antiboulez­iano, ostile all’Ircam; si tenne lontano da Cage.

Donava il suo sconfinato sapere. A Bruxelles ideava i programmi delle stagioni sinfoniche senza pretendere di essere citato. I suoi interessi riguardava­no anche la musica romantica e postromant­ica ( fu tra profeti di Sibelius in tempi non sospetti) , anche se privilegia­va i contempora­nei. Credeva nelle ragioni esasperate della passione, quella passione che si ammirava nell’organizzat­ore e nella creatività dei suoi scritti. Aveva sempre con sé un piccolo quaderno su cui annotava scrupolosa­mente gli organici delle opere più recenti. Si aveva l’impression­e, nei suoi estri progettual­i, che ideasse festival anche quando non ne aveva più la responsabi­lità. Mi disse un giorno lontano Franco Donatoni: “Halbreich dovrebbe dirigere la Biennale Musica”.

Mi stupiva la forza travolgent­e delle sue convinzion­i anche se non erano sempre condivisib­ili. Dialogava con l’ignoto, rincorreva l’utopia, sentiva il dovere di conoscere i compositor­i estranei alla ufficialit­à. Il suo ricordo resterà.

“Credeva nelle ragioni esasperate della passione, quella passione che si ammirava nell’organizzat­ore e nella creatività dei suoi scritti”

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Harry Halbreich
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