“CONTA INVECE BEN DI PIÙ LA MODERNITÀ TEATRALE D’UN FRASEGGIO CAPACE DI RENDERE VIVA OGNI SFACCETTATURA DEI PERSONAGGI PRESENTATI”
La bizzarra copertina che la ritrae con ali nere e corona d’oro fra un turbinar di veli cinerei suggerirebbe un’atmosfera decadente, più che verista: così come la musica di Puccini che sostiene metà del recital c’entra ben poco - ormai dovrebbe essere acclarato - col cosiddetto verismo di Cilea, Giordano, Catalani, Leoncavallo; per non dire di quanto niente veristi in senso storico siano Boito e Ponchielli. Ma il titolo è d’effetto, specie adesso che finalmente parrebbe sdoganarsi tutta una fascia di repertorio cui la musicologia ufficiale aveva decretato un ostracismo la cui stupidità emerge tutte le volte che esso trova direttori e cantanti in grado di renderlo altra cosa dal becero sparar notone o darci dentro con le spampanature melodiche. Come qui. Pappano ci crede, a questo repertorio, e lo fa suonare al meglio da un’orchestra eccellentissima: sostenendo e suggerendo come meglio sarebbe difficile immaginare un’interprete in stato di grazia.
Significherebbe portare vasi in una Samo già intasatissima, il dilungarsi sulla bellezza ambrata del timbro, sulla musicalità strumentale, sull’ampiezza sempre più sontuosa d’una linea resa omogenea dall’eccezionale proiezione, e di mercuriale fluidità dal controllo del fiato: “cose note, cose note”, come dice la mozartiana Fiordiligi e come negano solo gli eterni e sempre più solitari starnazzamenti dei custodi degli elefanti canori, quelli per cui chi sa davvero cantare o è morto o è tanto remoto che l’hanno ascoltato solo i rabdomanti di ectoplasmatici cimeli sonori. Conta invece ben di più la modernità teatrale d’un fraseggio capace di rendere viva e immediatamente comunicativa ogni sfaccettatura dei personaggi presentati, fatti vivere e resi cosa nostra da una delle più prepotenti personalità del teatro lirico contemporaneo. Il voluttuoso decadentismo di Adriana, l’allucinata nevrosi di Margherita (forse il vertice d’un disco tutto vertici), l’aspra voglia di vivere di Nedda, il gelo isterico di Turandot, la spenta malinconia di Wally, la lancinante rêverie di Maddalena (con Butterfly e Tosca a far da riempitivo di gran lusso): tratti tutti resi di pregnanza memorabile. E poi Manon, uno dei personaggi al momento più frequentati. S’ascoltano prima le “trine morbide” (sontuosamente, ma anche nevroticamente, morbidissime) e poi l’intero quarto atto: con lei eccezionale per il pathos creato dal continuo sovrapporsi di febbre di vivere nutrita di indomito erotismo, e di mortale stanchezza che ne sfibra gli slanci, dominando gli aspri saliscendi della scrittura con un lavoro sulla dinamica dai pochissimi confronti possibili. Le è accanto il marito Yusif Eyvazov. Che non canta propriamente male e che gli acuti li ha: ma sfoggia anche voce tanto brutta e fraseggio tantissimo inesistente. Però sappiamo: al cuore non si comanda in genere, e figuriamoci nel melodramma.
VERISMO
Anna Netrebko SOPRANO Antonio Pappano DIRETTORE Accademia di Santa Cecilia ORCHESTRA DG 4795013 25 PREZZO