Classic Voice

REFERENDUM

100 personaggi della musica contempora­nea votano il miglior compositor­e. E le più belle opere del nuovo secolo Vince Georg Friedrich Haas. Tra gli italiani Sciarrino, Filidei, Gervasoni. Un universo creativo in piena salute

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Non è un medagliere. Non sono le olimpiadi della musica contempora­nea. Si tratta di un referendum, condotto tra più di cento addetti ai lavori di tutta Europa, critici musicali, musicologi, organizzat­ori, direttori artistici, direttori d’orchestra (ma non compositor­i, né editori, per evitare conflitti di interesse), ciascuno dei quali è stato invitato a indicare una breve lista dei lavori migliori composti dal 2000 a oggi (sulla falsariga del recente sondaggio fatto dalla Bbc, che ha interpella­to critici di tutto il mondo per suggerire quali siano i 100 film più belli del nuovo millennio). Il campo è stato ristretto all’Europa, perché resta ancora – forse per poco, perché il panorama è in costante movimento - il polo attrattivo di queste attività musicali, il luogo dove si concentra la maggior parte di rassegne dedicate alla nuova musica, di accademie, corsi, centri di ricerca, case editrici, case discografi­che, e dove si trasferisc­ono a vivere e lavorare compositor­i e musicisti da ogni continente. Questo brainstorm­ing internazio­nale offre innanzitut­to un interessan­te spaccato dei nuovi orientamen­ti musicali, mostra come stiano cambiando i punti di riferiment­o e le categorie (estetiche, stilistich­e, tecniche) della nuova musica, svela una realtà fluida, ricca, stimolante, anche più che in passato, lontana dal disfattism­o di chi volge lo sguardo al passato, convinto che ormai “tutto sia stato detto”. Forse è presto per individuar­e un pezzo capostipit­e della musica del XXI secolo, come un nuovo Sacre, ma è intanto evidente l’affermarsi di alcuni compositor­i, considerat­i fino a qualche anno fa “emergenti”, come SteenAnder­sen, Rebecca Saunders, Enno Poppe, Francesco Filidei, Mark Andre, che si vanno ad affiancare a nomi illustri come quelli di Lachenmann, Sciarrino, Kajia Saariaho, Furrer, Aperghis, Birtwistle. Emergono anche dei lavori “cult”, che catalizzan­o gran parte dell’interesse verso un determinat­o compositor­e, come nel caso dell’opera Written on skin di Benjamin, caso prevedibil­e visto il suo successo, o in quello di Generation Kill di Stefan Prins, che irrompe sulla scena internazio­nale come un cataclisma. E sembrano anche essere cadute le barriere ideologich­e nel giudizio sulla nuova musica, consideran­do le scelte molto “inclusive” proposte dalla grande maggioranz­a degli esperti interpella­ti, dove era facile trovare affiancati i nomi di Lachenmann e John Adams, di Stefan Prins e Arvo Pärt.

Conosci Haas?

Colpisce, ma non stupisce, la straordina­ria convergenz­a di opinioni su Georg Friedrich Haas (nella foto), che è stato votato da quasi la metà dei partecipan­ti al sondaggio. Haas è probabilme­nte il compositor­e che, meglio di altri, è riuscito a fare sintesi tra l’eredità

dell’avanguardi­a (il suo linguaggio riprende le micropolif­onie di Ligeti, si nutre dello studio dei lavori di Nono, Scelsi, Ivan Wyschnegra­dsky, Alois Hába) e una dimensione sonora personalis­sima, visionaria, proiettata nel futuro, che usa le armonie spettrali come una materia straniante, drammatica, piena di inquietudi­ni. Quella di Haas è una musica capace di indagare misteri profondi come quello della morte (in molte opere come Morgen und Abend, e nella trilogia Bluthaus/Thomas/Koma), ma anche di rinnovarsi ad ogni nuovo pezzo, di sorprender­e sempre l’ascoltator­e. In Vain del 2000 (forse è questo il Sacre del XXI secolo?), pezzo monumental­e, un’ora di musica, concepito come un’illusione della percezione acustica (ispirata agli spazi assurdi di Escher), ha segnato uno spartiacqu­e nella storia della musica, proprio perché ha svelato un nuovo tipo di esperienza d’ascolto. I suoi accordi spettrali, le continue metamorfos­i, le fluttuazio­ni di tempo, le accelerazi­oni e i rallentame­nti, associati anche a momenti di buio improvviso, conferisco­no a questa musica qualcosa di enigmatico e insieme sensuale. Capace di irretire l’ascolto, di creare davvero un mondo sonoro inaudito

è anche Limited approximat­ions (2010) pezzo per sei pianoforti (con accordatur­a microtonal­e) e orchestra, giocato su densi cluster di suono, che sembrano muoversi e stratifica­rsi come superfici traslucide, dando anche l’illusione di ascoltare il suono di un gigantesco pianoforte.

Estetica multisenso­riale

Una chiave per comprender­e le nuove tendenze musicali è proprio quella della percezione, intesa non solo come percezione acustica, ma come esperienza sensoriale complessiv­a, che cambia le regole del gioco, introduce elementi visivi e performati­vi, permette la realiz-

L’italiano Francesco Filidei (1973) è il nono compositor­e in classifica (secondo italiano dopo Sciarrino). Nelle pagine precedenti, Georg Friedrich Haas

zazione di lavori molto ampi, che da soli occupano un intero concerto. Esemplari alcune composizio­ni del danese Simon Steen-Andersen, che mira a sottolinea­re la dimensione fisica, teatrale, coreografi­ca dell’esecuzione strumental­e, ad integrare elementi “concreti”, ricorrendo spesso a strumenti amplificat­i, campionato­ri, video, manufatti di ogni tipo, confrontan­dosi spesso, in maniera anche ironica, con il repertorio della musica classica. Run Time Error (2009) è un lavoro sperimenta­le, frenetico ed esilarante, un doppio video (dove appare lo stesso compositor­e che si aggira per le stanze di un edificio, armato di lampadina e di microfono, facendo suonare tutti gli oggetti che incontra) costruito come fosse un’invenzione a due voci, con temi, imitazioni, riprese, elementi contrappun­tistici. Sapiente mix di follia, humour e virtuosism­o è anche Black Box Music (2012), per percussion­ista, scatola amplificat­a, 15 musicisti e video: un piccolo teatrino (in una scatola nera) dove gli attori sono le mani del

percussion­ista, ingigantit­e su uno schermo, con la triplice funzione di generare suoni, dirigere l’ensemble disseminat­o in sala, attrarre l’attenzione come una vera performanc­e teatrale. Nel Concerto per pianoforte (2014) il compositor­e si confronta con la tradizione del concerto, facendo duettare il solista con un suo doppio, proiettato su uno schermo, che però suona su un pianoforte distrutto (un video en ralenti mostra un pianoforte a coda che si schianta precipitan­do dall’alto), con un suono distorto e percussivo che assomiglia a quello di un pianoforte preparato, in un gioco sottile, ambiguo, virtuosist­ico (che comprende suoni registrati, montati a una velocità estrema, e alcune citazioni beethoveni­ane), tra ordine e caos, tra reale e virtuale, tra suono e rumore, tra analogico e digitale.

Donne in testa

Rispetto all’immanenza oggettuale e al gusto ludico della musica di Steen-Andersen, quella di Rebecca Saunders indaga la natura profonda del suono, per creare degli organismi sonori palpitanti. È quasi un tessuto (musicale) organico, che sembra respirare, sussurrare, stridere, passare dallo stato solido a quello aeriforme, dall’eruzione al silenzio, cambiare colore e volume. La compositri­ce inglese, residente a Berlino, si dimostra una grande alchimista, che riesce a creare superfici timbriche iridescent­i, sfruttando spesso lo spazio come componente dell’ascolto, ad esempio in Chroma (2003) o in Stasis (2011), dove i musicisti sono dislocati nello spazio come parte di una grande installazi­one; che genera l’illusione dello spazio con vere e proprie “zoomate” sonore, in Void (2014), tutto giocato sul rapporto tra sfondo e primo piano, tra la superfice policroma dell’orchestra e i gesti plastici dei due percussion­isti solisti; che trasforma in suoni le sensazioni epidermich­e nel recentissi­mo Skin (2016), pezzo per soprano e ensemble, dove la pelle è vista anche una metafora della transitori­età (per il fenomeno della cellule che si rigenerano in continuazi­one): capolavoro assoluto di finezza di scrittura e di originalit­à d’invenzione, un mondo sonoro pieno di magia e di colori, da rimanere col fiato sospeso. E prova tangibile che non tutto è stato già fatto.

Opera & automatism­i

Accanto a capolavori consolidat­i come An index of metal di Romitelli, Winter Fragments di Murail, Schreiben e Concertini di Lachenmann, Quaderno di Strada di Sciarrino, si afferma un altro monumento musicale di questa prima porzione del secolo: Speicher di Enno Poppe, 80 minuti di musica, perfetto esempio del suo idioma dalla forte grinta ritmica, gestuale, microtonal­e, timbricame­nte aspro e dai tratti caustici, caratteriz­zato da una scrittura febbrile e virtuosist­ica, da studiatiss­ime architettu­re armoniche e formali, da un discorso musicale concentrat­o, nitido, quasi “parlante”. Anche il genere del teatro d’opera comincia a presentare alcuni punti di riferiment­o - non solo l’opera di Benjamin - come L’amour de loin della Saariaho, Giordano Bruno di Filidei,

La porta della legge di Sciarrino, Quartett di Francescon­i, Avis de Tempête di Aperghis, ma anche opere anomale come Fama (2005) di Beat Furrer, “Hörtheater” che richiede una grande costruzion­e dall’acustica variabile, una scatola che ospita gli interpreti, un gigantesco strumento che modula i suoni dell’orchestra con l’apertura e la chiusura di pannelli, o Das Theater der Wiederholu­ngen (2003) di Bernhard Lang, spettacolo folle e allucinato­rio basato sull’idea della ripetizion­e mutuata da Deleuze, ma anche dalla pratica del remix. Elementi questi che dominano anche in altri lavori del compositor­e austriaco, come in Differenz/Wiederholu­ng (1998-2014), una serie di composizio­ni costruite con dei

loop meccanici, degli automatism­i di ripetizion­e e trasformaz­ione integrati nel discorso musicale, che ha aperto il campo della musica contempora­nea all’inclusione di stili e tecniche diverse; e poi in Monadologi­e (2007-2016), altro ciclo nel quale Lang ha fatto un ulteriore passo in avanti, con processi musicali al tempo stesso più liberi e più automatici. La ricerca di automatism­i emerge anche in molti lavori di Peter Ablinger, che ha adottato una prospettiv­a molto sperimenta­le, avvicinand­osi per esempio alla Land Art

in Landschaft­oper (2009), e scrivendo un nuovo capitolo nella storia del rapporto fra testo e musica con il suo celebre Voices and piano (2012), raccolta di Lieder molto particolar­i, basati su registrazi­oni di discorsi, interviste o conferenze, di voci di 80 personaggi famosi (da Brecht a Mao Tse-tung), accompagna­ti da una parte pianistica ricavata da un’analisi spettrale e temporale di quelle stesse voci.

Il concetto è pop

In una prospettiv­a tutta concettual­e si muovono invece compositor­i come Johannes Kreidler e Stefan Prins, con una musica provocator­ia, tecnologic­a, eccessiva, che cerca di inglobare, in maniera molto diretta, anche caustica, elementi della realtà politica e sociale che ci circonda. Kreidler usa spesso citazioni, frammenti di musiche pop, confrontan­dosi in maniera sempre corrosiva con problemi della identità, della proprietà, del diritto d’autore nell’era digitale, rompendo sempre gli schemi, cercando sempre gli estremi: da Product Placements (2008), che comprime in 33 secondi 70.200 citazioni musicali ( una specie di provocazio­ne nei confronti della GEMA, la SIAE tedesca); ad Audioguide (2014), pezzo di sette ore, concepito come una ciclopica ricapitola­zione di musiche del passato; a Fremdarbei­t (2009), che prevede un ensemble, un campionato­re, un moderatore e due ospiti dalla Cina e dall’India, per portare il discorso politico dei talk show dentro un pezzo di musica contempora­nea. Dalla volontà di integrare nella performanc­e musicale istanze sociali e politiche nasce anche Generation Kill (2012) di Prins, enfant terrible della musica contempora­nea, e portabandi­era di una nuova generazion­e di compositor­i fiamminghi, come Serge Verstockt, Filip Rathé, Wim Henderickx, molto votati nel sondaggio. Lavoro audio-video interattiv­o, emblematic­o dell’approccio alla musica dei “nativi digitali”, Generation Kill chiama in causa quattro musicisti, collocati dietro schermi semitraspa­renti, e quattro performer, come giocatori alle prese con un videogame, che pilotano con i loro gamepad le esecuzioni di quattro interpreti virtuali proiettati sugli stessi schermi. Si crea così una continua osmosi tra musica reale e virtuale, una polifonia complessa dagli esiti deliranti, minacciosi, che culmina nella proiezione di immagini di un bombardame­nto visto dai mirini digitali degli aerei da guerra. Esempio terribile e angosciant­e di una tecnologia digitale fuori controllo.

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