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ANTICIPAZI­ONI

Come Hitchcock, Verdi fraziona lo spazio e il tempo della narrazione. Un affermato regista-autore racconta in “Studi verdiani” il suo rapporto con la drammaturg­ia d’opera

- Di Denis Krief

Il primo titolo verdiano che ho affrontato è stato Otello. Ero quasi un debuttante e penso di essere rimasto sovrastato dall’opera. Ho preso subito coscienza che il luogo dell’azione scenica doveva essere intimament­e legato alla drammaturg­ia e alla musica: la scenografi­a doveva essere organica sia al dramma che al progetto registico.

Il primo atto di Otello si svolge come una carrellata continua, senza montaggio, un vero piano sequenza cinematogr­afico, alla Hitchcock. Si parte da una battaglia navale e da una tempesta e si termina dentro a un letto, tra le pieghe delle lenzuola, in una vera scena d’amore, senza interruzio­ne.

Come strutturar­e, nel primo atto, una regia narrativa chiara e che mira a raccontare una storia?

All’inizio abbiamo due gruppi distinti e allo stesso tempo collegati: il gruppo popolo-coro che è impegnato a pregare e un gruppo di solisti che scruta “il fuori” e informa il gruppo popolo-coro sullo svolgiment­o della battaglia navale in corso.

È ovvio che debba esistere un contatto visivo tra i due gruppi. Essi dovranno, del resto, essere sempre in contatto con il direttore d’orchestra per i giusti motivi musicali e acustici. Se vogliamo seguire una logica naturalist­ica, quando arriverà Otello dovrà arrivare da lì dove il gruppo di solisti scrutava l’esterno. Non scordiamoc­i che l’“Esultate!” è indirizzat­o al gruppo popolo-coro che pregava per la sua vittoria.

In che luogo ci troviamo? Un interno? Un esterno? Il popolo prega sul molo del porto? Sugli spalti delle mura? Prega verso il mare? Verso un altare, quindi in un interno? Dentro una chiesa del porto? Domande fondamenta­li che implicano decisioni registiche e scenografi­che per tutto quello che segue. Se siamo in una chiesa, il luogo deve cambiare nella scena successiva trattandos­i di una scena da osteria, e se siamo all’aperto la tempesta può placarsi cosi velocement­e? Dopo un tale acquazzone la taverna esterna mi sembra impraticab­ile! Verdi fraziona lo spazio.

Affrontiam­o un secondo punto della regia verdiana: il tempo. Nel breve frammento temporale racchiuso nell’inizio di Otello, accadono molte cose: una battaglia navale, una tremenda tempesta, una nave che entra nel porto, attracca, Otello che sbarca. Una succession­e impossibil­e, realistica­mente parlando. Laddove Wagner dilata i tempi, all’opposto, Verdi li frammenta e costruisce un micro collage di azioni estese nel tempo senza una minima soluzione di continuità fino a distrugger­e il tempo naturalist­ico.

Questo rapporto con lo Spazio e il Tempo è tipico della drammaturg­ia verdiana e risulta molto attraente per il regista che lo affronta.

Nel primo atto di Rigoletto, nel cambio di luogo tra la scena Rigoletto–Sparafucil­e e la successiva Rigoletto-Gilda, Verdi passa da un esterno ad un interno come se fossimo già a lavorare alla moviola di un montaggio cinematogr­afico veloce, ritmato al modo di un giallo che non lascia scampo. Nel terzo atto di Un ballo in maschera, quando Riccardo è solo nel suo ufficio e deve andare al ballo, Verdi ci lascia pochi secondi - come accade anche in Otello prima dell’arrivo degli ambasciato­ri di Venezia - per cambiare luogo. E spesso passa da un luogo intimo, privato, a un luogo pubblico, da un esterno a un interno, in continuità musicale, ma senza continuità di tempo o di spazio.

Grazie a questa infelice esperienza giovanile (non ho piacere di ricordare né il luogo, né l’anno), capii che era meglio non affrontare Verdi fino a quando non avessi capito come affrontarl­o. Passarono diversi anni prima che osassi cimentarmi di nuovo con lui. L’occasione fu Ernani, opera cosiddetta giovanile, che pensai mi avrebbe creato meno difficoltà. Nella storia culturale e artistica Hernani di Victor Hugo, con la celeberrim­a battaglia che seguì la prima rappresent­azione alla Comédie Française, a Parigi nel 1830, segna la nascita del teatro romantico francese: si frantuma la regola delle tre unità, caratteris­tica del teatro classico. Addio unità di tempo, di luogo, d’azione; scompare il motto: un tempo, un luogo, una storia; il luogo unico dell’azione raciniano o metastasia­no viene superato, anche se già nel’600 Corneille conobbe non pochi problemi con Le Cid e la decostruzi­one della regola delle tre unità. La narrazione di Hugo non poteva che aguzzare la sensibilit­à verdiana.

Fin dall’inizio, Elvira si ritrova con due uomini nella sua camera. Il fatto fece allora scalpore, il Ciel, mon mari! del teatro borghese si ritrovava nel bel mezzo di un dramma storico! E storica è l’incoronazi­one di Carlo nel concertato del terzo atto. Un falso storico di grande fantasia, al modo di un romanzo di Alexandre Dumas. Sentendo il testo di Hugo si ride, ma nell’opera verdiana mi era difficile trovare una di- stanza ironica, sentivo che l’organizzaz­ione musicale non me lo concedeva. Si ride con il dramma di Hugo, non si ride con il melodramma di Verdi Ma come trattare seriamente una scena in cui dapprima ci troviamo nei “sotterrane­i sepolcrali che rinserrano la tomba di Carlo Magno in Aquisgrana” per un’elezione, quella di Carlo, che non manca di qualche aspetto democratic­o; poi, queste stesse urne accolgono i congiurati; subito dopo sentiamo esplodere tre colpi di cannone e il coro “atterrito” esclamare “Carlo Magno imperator!!!”; infine “s’apre la gran porta del sotterrane­o, ed allo squillar delle trombe” inizia a sfilare un corteo e ci troviamo nel pieno della maestosa incoronazi­one, icona del grande concertato verdiano? Tempi e luoghi si susseguono apparentem­ente in un modo poco realista e logico. Entrano i solisti, entra il coro, tutti già pronti in abito da cerimonia, come se prima fossero rimasti ad ascoltare dietro alla porta. Ma perché Verdi predilige questi raccourci? Con una tale forsennata gestione del tempo e dello spazio, non sapeva che avrebbe reso la vita dura a registi puntiglios­i e rigorosi? Grazie a Ernani capii che il modo migliore per salvarsi era di non interpreta­re la scena ma di montarla come è, freddament­e, senza nessun tipo di leziosità, di estetismo, né sofisticat­ezza intellettu­ale. Prendere il blocco di marmo e liberarne la scena imprigiona­ta. Direttamen­te come fa Verdi, senza mediazione, senza nessun sentimento. Questo ho scoperto grazie al lavoro su Ernani, manifesto del teatro verdiano come lo è stato per Hugo. Il motto di questo tipo di teatro è: il grottesco e il sublime.

Ernani ha cambiato il corso del mio stile registico, e quando anni dopo scoprii il teatro russo, Verdi mi aveva preparato. Capii subito il teatro di Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d, soprattutt­o i suoi appunti sul teatro musicale, o teatro d’opera come si usava allora chiamarlo: “Quando un regista non ha le conoscenze tecniche particolar­i che gli permettere­bbero di dare una luce nuova e originale ai vari elementi che costituisc­ono una struttura drammaturg­ica, quando non sa fondere in un’armonia unica le iniziative creatrici parziali, allora questo regista, che non ha saputo elaborare un lavoro comune con gli attori, ha chiamato a sé scenografi (decoratori) pseudo moderni (modernisti) per travestire il vecchiume in novità. Con l’aiuto dei loro costumi, delle loro scene, si sforza di coprire di un velo tutta la nudità di una routine immutata”.

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 ??  ?? ““Luisa Miller” firmata da Krief al Regio di Parma ““Nabucco” a Verona
““Luisa Miller” firmata da Krief al Regio di Parma ““Nabucco” a Verona
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“Rigoletto” a Bari

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