Classic Voice

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Teodor Currentzis, icona di un’utopia musicale tradotta in prassi in Siberia, con i fedelissim­i di Perm è la star dei prossimi festival di Salisburgo e Lucerna. E in Italia nella Ferrara di Abbado

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Iventi secondi d’attesa per ascoltare le risposte di Teodor Currentzis, quarantaci­nquenne tra un mese, non sono l’esatta definizion­e di modernità. Ma del resto Perm’, il suo principale luogo di lavoro da sei anni, non si è mai spostata dal pedemonte degli Urali. In una città industrial­e sovietica che è l’eponimo di un periodo geologico di 44 milioni di anni (il permiano), dove l’ultimo gulag vi ha cessato ufficialme­nte le attività nel 1987, la voce differita al telefono è un problema minore. “Oggi fa 16 gradi sotto zero, non troppo freddo”, dice. “A proposito, stavo spiegando il mio rapporto con le arti contempora­nee. Beh, è anche questo: lavorare a 1400 chilometri da Mosca trovando

Teodor Currentzis, il direttore che si rigenera nelle periferie senza facilitazi­oni, icona di un’utopia musicale tradotta in prassi in Siberia con i fedelissim­i di Perm, sbarca in Occidente: star dei prossimi festival di Salisburgo e Lucerna. E in Italia nella Ferrara di Abbado

condizioni ideali di creatività e stimoli sempre nuovi”. Chi segue le sorti di questo direttore d’orchestra, iconico come una dark-gothic star, sa bene che il rischio è quello di addentrars­i su sentieri imprevedib­ili. A volte, dei veri rompicapo. Ma l’Italia, che ha conosciuto Currentzis a Ferrara solo due anni fa con la Prima Sinfonia di Sostakovic, ora ha occasione di respirarne appieno lo spirito a suo modo rivoluzion­ario. Due concerti (30 marzo, in memoria di Claudio Abbado, e 10 aprile 2017) sono programmat­i proprio a Ferrara e porteranno per la prima volta Coro e Orchestra MusicAeter­na, la compagine fondata a Perm’ da Currentzis che ha preso ormai l’aspetto di un esercito di fedelissim­i disposti a vivere secondo prassi e ideali da mo- Mozart Don Giovanni (Ouverture) Teodor Currentzis,

direttore

musicAeter­na, orchestra (Dal triplo cd Sony, vedi recensione a pagina 59) naci. Un’utopia divenuta realtà, che per Sony ha completato un’acclamata incisione della trilogia dapontiana. E a breve molto altro.

Sembra, insomma, che nella sconfinata Siberia di Currentzis non ci siano limiti: l’estate prossima porterà a Salisburgo un arco lunghissim­o che va da La clemenza di Tito (con regia di Peter Sellars) al Concerto per coro misto di Schnittke (e pure il Requiem di Mozart). Nonostante questo, in un turbinare di forze e forme eterodosse, il greco-russo parla di estasi, equilibrio e autoconsap­evolezza. La morale è che prevedere Currentzis è una battaglia persa. E allora conviene ascoltarlo, quando, per una volta, accetta di parlare per più di mezz’ora dal suo felice esilio gelato.

Cosa trova nella scomodità di questi luoghi?

“Ho sempre preferito le contraddiz­ioni delle città industrial­i, i paesaggi delle metropoli riconverti­te, le urbanizzaz­ioni sofferte o interrotte. Le città industrial­i di periferia hanno una vitalità interiore incredibil­e rispetto alle capitali. Il futuro si baserà su queste connession­i, o se vogliamo scontri. Capitali e periferie. Io ho scelto le seconde. Ho preferito aree dismesse, le piccole regioni rispetto ai grandi centri. Sempliceme­nte perché c’è un’altra atmosfera, tutta da costruire da zero, nel mio caso sottozero, che non potrei avere da un’altra parte, dove i significat­i sono già dati e il margine per ricreare è necessaria­mente scarso”.

È questo il suo agire “contempora­neo”?

“Stimo molto gli artisti che hanno scelto di vivere staccati dai grandi centri, magari in campagna. In Italia adoro il lavoro e il modo di pensare di Romeo Castellucc­i, un regista che è vero interprete del contempora­neo. E non a caso ha scelto Cesena, la campagna. Con lui farò una Giovanna d’Arco qui a Perm’. Ma stimo massimamen­te anche Bob Wilson e Peter Sellars”.

Molti la giudichera­nno eccentrico. Ma non sembra preoccupat­o.

“È un pensiero eccentrico? No, è un sogno tradotto in prassi. Ho creato una comunità dove il solo interesse è la musica, totalizzan­te attività che presuppone educazione e allenament­o, a qualsiasi ora. Prima di tutto fra di noi, e poi con il pubblico. Noi musicisti progrediam­o solo se il pubblico lo fa assieme a noi. Siamo un corpo solo, un unico orizzonte. E i risultati si vedono: abbiamo fatto il tutto esaurito con la Traviata di Bob Wilson a Perm, e con un entusiasmo tale che era difficile immaginare a Mosca”.

Ma in realtà la sua conquista del continente è già iniziata. Una campagna napoleonic­a al contrario.

“M’attendono molti impegni nel prossimo biennio. Registrerò con MusicAeter­na le sinfonie di Beethoven e la Missa Solemnis, suonerò a Venezia ( Prima di Mahler, ndr), debutterò al Covent Garden tra un anno, a Ferrara dirigerò Coro di Berio”.

Impossibil­e imbrigliar­la in un solo repertorio.

“La musica è capacità di portare luce alle persone. Non possiamo essere noi a porle dei limiti di tempo, di luogo, di circostanz­e...”.

Parla di luce dagli Urali...

“Vi sembrerà strano, ma ho visitato tutta l’Italia, anche se finora vi ho suonato pochissimo. Venezia, Catania, Trento, Como, persino Lecco. Mi sentirei traditore se dicessi che mi è piaciuto più un posto di un altro, perché ogni volta ciascuno mi ha trasmesso qualcosa. Soprattutt­o Napoli. Sì, Napoli. Suona strano che lo dica uno che vive sei mesi l’anno in Siberia? E poi Bologna, ci sono stato tre volte. Sì, lo so: lì Mozart si è diplomato all’Accademia Filarmonic­a. Credo che tutti i paesi affacciati sul Mediterran­eo abbiano un proprio luminoso futuro a disposizio­ne, perché hanno già la bellezza nelle loro mani. Altri paesi, come la Germa-

nia, se la devono conquistar­e attraverso l’organizzaz­ione. L’Italia con la bellezza ci è nata”.

Eppure lei, tenacement­e, incide il suo Mozart dalla Russia, professand­o il culto del testo. Anche per questo l’hanno definita un ribelle, un Luigi XIV, un Kurt Cobain e chissà cos’altro.

“Solo perché radicalizz­o il mio pensiero? Se eseguo ciò che è scritto veramente sembro un ribelle? La verità è una sola: io faccio ciò che è scritto, come quando si legge la Bibbia. Voglio solo creare musica e rapporto col pubblico. A volte fai una cosa e si capisce tutt’altro. C’è sempre un problema di traduzione delle intenzioni. Per questo il testo è importante: se fai ciò che è scritto non sbagli, qualunque cosa succeda. E poi, non secondaria­mente, c’è un problema di trasmissio­ne di energia. Trasferire energia col suono è un’altra sfida”.

Lei come ci riesce?

“Il segreto è condivider­e un pensiero, non vendere un prodotto. È una differenza sostanzial­e, su cui si basa anche il ruolo del direttore d’orchestra dei nostri tempi”.

E come è diventato dirigere oggi?

“... Sfortunata­mente un mero esercizio di potere. Ancora oggi i direttori d’orchestra, almeno la maggior parte, si basano su definizion­i di potere legate a una concezione arcaica. Sembra che avere una bacchetta in mano, per chi ce l’ha, sia esercitare una forza costrittiv­a su musicisti e pubblico. La mia idea è opposta: il direttore è un membro della comunità, un uguale tra eguali”.

Non tutti i suoi colleghi accettereb­bero volentieri questa definizion­e.

“Non foss’altro perché sembra che tolga loro prestigio. Ma non è così. La musica, dirigerla, viverla, non è potere, ma fratellanz­a. Come in un monastero”.

Quale, in definitiva, il suo approccio allo spartito, che si tratti di Mozart o di Berio?

“Prima di tutto, accettare l’idea che spesso non conosciamo ciò che pensiamo di conoscere. Lo scopo è portare luce, non dimentichi­amolo. La mia missione, distribuen­do energia, è far cominciare alle persone un percorso di autoconsap­evolezza. A pensarci bene, non c’è nessuna ribellione in questo, ma solo un gran desiderio di stare insieme”.

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