RISCOPERTE
La Reverdie festeggia 30 anni alla ricerca di un Medioevo non oscurantista fatto di canti, canzonieri e corali da Dante a Du Fay
Il Medioevo, anche presso gli italiani che da esso dovrebbero trarre una parte caratterizzante della nostra identità culturale e linguistica, soffre per via di numerosi luoghi comuni, a cominciare dal connotato proverbialmente negativo di chi accusa: “Siamo tornati nel Medioevo!”. Insieme a Claudia Caffagni - membro fondatore e portavoce dell’ensemble La Reverdie, nato trent’anni fa e composto oggi da lei, dalla sorella Livia, da Elisabetta de Mircovich e dal suonatore di cornetto Doron Sherwin - attraversiamo la storia di un quarto di secolo di vita musicale intesa a riportare la luce sui “secoli bui”. “Molto del nostro impegno”, afferma l’artista bolognese, “è stato speso a sfatare simili pregiudizi: il contrasto luce/tenebre è stato anche oggetto di uno dei nostri dischi, Nox Lux e a ben guardare il nostro stesso nome, La Reverdie, allude alla luce che contraddistingue il ritorno della bella stagione, sempre salutato con gioia durante il Medioevo, la cui estetica era legata al colore e ai contrasti: basti pensare che molte delle architetture romaniche e gotiche, oggi visibili ‘in bianco’, intendevano la luce e il colore proprio come strumenti utili a esorcizzare l’oscurità. C’è ancora chi associa i sentimenti quasi solo al Romanticismo, ma basta guardare le fonti musicali dai primordi fino al Quattrocento inoltrato per capire subito come la fantasia e la vitalità pervadano ogni testimonianza di quell’epoca”. Superata una prima coltre di pregiudizi, Medioevo significa soprattutto poesia e pittura, Dante e Cimabue, Petrarca e Giotto, autori di una Commedia divisa in “canti”, di un “canzoniere” e
di affreschi fortemente “corali” (vedi la Cappella Scrovegni), ma la musica medievale continua a sembrare un repertorio bizzarro, tutt’al più un’amena curiosità, finché non interviene l’alleanza militante fra prassi esecutiva e musicologia: “Presentare la musica correlata alla letteratura è un’attività che svolgiamo sin dall’inizio, per esempio da un progetto dei primi anni Novanta che dedicammo alle Laude mettendole in relazione con la Legenda aurea di Jacopo da Varagine, opera sommamente rappresentativa del tardo Duecento e del Trecento italiano. Il metodo interdisciplinare ha caratterizzato da sempre molti dei nostri programmi, fino a uno dei più recenti, dedicato alla Commedia e realizzato insieme al cantautore e scrittore David Riondino. La letteratura, la poesia, ma anche la miniatura e le altre arti figurative, devono sempre informare la programmazione musicale”.
Uno dei temi tipici del medioevo musicale è il rapporto tra i modelli francesi e quelli italiani che, da Dante in poi, si resero indipendenti dotandosi di una lingua pienamente espressiva e versatile. Anche in musica il rapporto FranciaItalia è significativo: “Sin dalla seconda metà del Duecento il solco che separa i due modi d’intendere la musica, e specialmente il ritmo, è già profondo ma la distanza tende non ad aumentare bensì a diminuire dalla fine del Trecento quando il repertorio, anche per motivi politici e alla riunione successiva allo Scisma d’Occidente, tende nuovamente a recepire mode francesi”. Altro argomento tipico è l’equivalenza Medioevo-canto gregoriano, come se nel presunto “buio” potesse darsi solo canto sacro e soltanto monodico, fino alla tardiva invenzione della polifonia e all’uso ancor più tardivo degli strumenti; è invece cifra stilistica della Reverdie il ricorso alla commistione di voci e strumenti: “Monodia e polifonia non sono consequenziali, si può dire invece che in alcuni contesti e periodi vi sia stata una certa prevalenza dell’una e dell’altra, anche nel cosiddetto canto gregoriano, che fu molto meno monolitico di quel che si penserebbe, almeno dall’epoca carolingia. Sull’alternativa tra esecuzione a cappella oppure con voci e strumenti, la nostra tendenza è stata sempre quella a prediligere repertori che permettessero anche l’uso degli strumenti, sia perché l’organico esclusivamente vocale si sembra più ideale che reale, sia perché l’ensemble è costituito da musicisti che sono sia cantanti sia strumentisti, analogamente ai tanti altri con cui spesso collaboriamo. Il cantare suonando, fra l’altro, va ulteriormente nella direzione coloristica e luministica del Medioevo - non monocromo né oscurantista - che intendiamo documentare e interpretare”. Lo strumentario medievale oggi è disponibile per mezzo di copie realizzate efficacemente, ma trent’anni fa la dotazione non era così a portata di mano… “Partimmo con strumenti quasi di fortuna e la prima ribeca la facemmo con una scatola di legno; c’era una certa febbrile sperimentazione ma in tempi rapidi riuscimmo tutti a disporre di strumenti plausibili che si sono andati arricchendo e definendo in base ai repertori e ai musicisti che hanno incrociato il nostro cammino, ma la costruzione di strumenti non è fra le attività che pratichiamo”. Se è vero che la mentalità medievale non tende a imitare con l’arte la realtà ma a darne un’interpretazione morale, la scelta degli strumenti può essere non solo timbrica ma anche simbolica: “Di strumenti, nella trattatistica, si parla poco e la maggior parte delle fonti le abbiamo dall’iconografia e poi dai versi, sappiamo però che gli strumenti a fiato - secondo un’impostazione classicista - potevano avere una connotazione triviale che ne sconsigliava l’uso in contesti ‘alti’. Si pensi che gli unici flauti medievali documentati sono stati trovati negli scavi di alcune latrine, al contrario delle lire i cui esemplari provengono da tombe di nobili cavalieri. La ricerca statistica ci ha poi convinto circa il ruolo degli strumenti, constatando che la presenza più frequente è quella della viella, da considerarsi quindi come strumento “universale” del Medioevo così come lo sarà il liuto nel Rinascimento”. Riflettendo sullo spazio sonoro medievale, l’impostazione del concerto moderno è spesso fuorviante così come lo sono le attuali circostanze in cui si esegue la musica sacra, “nei nostri concerti non cerchiamo di realizzare improbabili condizioni realisticamente medievali ma suggeriamo un maggiore coinvolgimento specialmente nei programmi d’ispirazione letteraria e in quelli che raccontano delle storie contribuendo alla creazione di un immaginario più ricco di quello che talvolta la sola musica può fare”. Gli autori programmati, spesso anonimi, talvolta con nomi altisonanti, tendono a essere valutati solo in base alla loro antichità; la trentennale esperienza della Reverdie può tuttavia indicare una qualche gerarchia: “È fuori di dubbio che esistano alcuni personaggi d’importanza e qualità particolarmente elevata, per esempio Du Fay. Ma è nell’attività didattica che si riesce per esempio ad approfondire assieme a un allievo una fonte o lo stile di un compositore, rendendosi conto di un ‘quid’ indefinibile che alcuni maestri continuano a offrirci e altri no. Molto di quel che si riesce a comunicare, nel nostro caso ma anche di chi suona Vivaldi o Brahms, passa attraverso il ‘come’ si suona o canta. Anni fa si parlò della Reverdie come di ‘filologia dell’emozione’, definizione nella quale ci troviamo a nostro agio, ma è un agio che non deve mai mancare di un presupposto valido per chiunque esegua musica antica: una griglia di regole entro le quali esercitare le libertà interpretative, consapevoli che all’interno di essa sta l’esecuzione plausibile, al di fuori invece la mistificazione. Ancora oggi, non solo dopo trent’anni di attività ma alla luce di quasi un secolo di ‘musica antica’, la cosiddetta ‘early music’ è talvolta concepita dal pubblico come forma di alternativa alla ‘musica contemporanea”, nel senso di un sistema di sonorità e messaggi alieni dalle crisi tipiche del Novecento e per certi aspetti - non ultimo quello intervallare - più puri e più naturali, proprio come più pura e naturale è l’esperienza estetica cui la civiltà metropolitana spesso anela”.
“Mors et vita duello” La Reverdie,
ensemble (dal box
Knights, Maids And Miracles, 5 cd Arcana)