HISTORIAE
Guido Salvetti
Dove vada cercata la versione definitiva di un’opera d’arte è una vecchia questione. I faciloni rispondono precipitosamente: “Ma che domande! È l’ultima in ordine di tempo, no? che vai cercando?”. Poi ti viene in mente il professore di liceo che spiegava come e qualmente la Gerusalemme conquistata di Torquato Tasso, seconda versione - per così dire - della Liberata, non sia preferibile a questa, perché nevroticamente preoccupata dell’Inquisizione e dei critici accademici.
Poi ti viene in mente anche quel ciclopico pasticcione di Anton Bruckner che ha tagliato e ricucito innumerevoli volte le sue Sinfonie: dove mai ci avrà visto giusto? Se glielo potessimo chiedere di persona, credo che anche lui non ce lo saprebbe dire. Questo non vuol dire che nel passato non ci siano casi certi, che si sono verificati quando, con lucidità e amore, l’autore ha ripreso in mano la sua creatura e, chirurgo sublime, ha tolto il troppo e aggiunto al lacunoso, ha chiarito quello che era oscuro e ha velato quello che era troppo sfacciatamente in evidenza. Con i grandi autori, se sono davvero grandi, succede quasi sempre così. Cito per tutti Brahms, che rilavorò al Trio op. 8 togliendo le digressioni inutili; che ritoccava le sue sinfonie ancora dopo aver assistito alle prove generali; che distrusse tutti gli appunti e i lavori preparatori beffando i ficcanaso nei lasciti altrui. Andò meno bene a Chopin, che ordinò al suo segretario Fontana di distruggere il baule di musiche che gli lasciava alla sua morte; ma non pensò che in giro per il mondo aveva lasciato tante edizioni diverse degli stessi pezzi; che aveva pasticciato con la matita dando lezioni ad allieve spesso molto zuccone; che, d’altro lato, aveva ficcato in quel baule tante pagine bellissime che infatti il buon Fontana non si sentì di distruggere e ce le ha donate, per nostra in-
“Brahms ritoccava le sue sinfonie ancora dopo aver assistito alle prove generali”
finita gioia: qualcuno se la sentirebbe di distruggere, oggi, la Fantasia-Improvviso op. 66?
La questione, si vede, è complessa. E, come si dice sempre in questi casi, va risolta caso per caso. Azzardo però una raccomandazione: ogni caso va esaminato non solo giudicando il risultato (operazione condannata alla più arbitraria delle soggettività), ma tenendo presente l’intenzione del compositore, a sua volta da inquadrare nella sua personalità. Mi spiego: a uno come Tasso non puoi attribuire lucidità e determinazione delle proprie azioni; a uno come Manzoni, sì, due volte. Parimenti: di uno come Berlioz non ti potrai mai fidare (e infatti la vicenda dei Troiani assomiglia non poco a quella delle sinfonie di Bruckner, cui prima accennavo); con Haydn vai sul sicuro, come con Verdi e Puccini. Sì, anche Puccini che, se rimetteva mano a una sua opera, sapeva il perché, e quale “miglioramento” voleva ottenere. Con Fanciulla del West e oggi con Madama Butterfly si conducono invece operazioni pseudo-musicologiche di recupero di versioni precedenti.
Così pure con il Ballo in maschera, di cui si è recuperato il libretto precedente ai mutamenti indotti dalla censura, con l’esilarante risultato che, mentre nei soprattitoli figurava quella penultima versione, ai cantanti capitava di cantare la versione corrente.
Manca in questa rapida rassegna il problema delle differenti versioni, entrambe “definitive” perché pensate per pubblici e ambienti diversi. Trovo esemplare il caso dello Stabat Mater di Boccherini, nella versione per soprano solo e quintetto d’archi e nella versione (di vent’anni dopo) per contralto, tenore e orchestra d’archi: molte le differenze, tutte orientate a marcare la differenza tra l’ambiente famigliare di Las Arenas e i saloni della Parigi stile impero. Ebbene. Mi piace ricordare il caso sciagurato di un famoso soprano che ha inciso lo Stabat nella prima versione, ma, giunta alla fine, non ha resistito alla tentazione di fare un poco più di effetto di quanto scritto dall’autore: e l’ultima nota di quella sommessa e sofferta versione viene esibita - a eterna vergogna - all’ottava superiore. Come si vede, è una giungla di casi in cui è umano smarrirsi e fare sciocchezze. Non saranno mai sufficienti le cautele da mettere in campo, e ogni cautela sarà comunque inutile se non sarà accompagnata da spirito æcritico e autocritico. Doti, soprattutto quest’ultima, di cui non c’è dovizia nel mondo dello spettacolo…