Classic Voice

FOYER

Alberto Mattioli

- Alberto Mattioli

Questi registi! Il teatro d’opera sarà ormai dominato da loro e dalle loro nefandezze, che ci impediscon­o di goderci come al buon tempo antico la Norma come la voleva Bellini e La traviata come la voleva Verdi. Sarà. Però, e magari sono malizioso, a me sembra che sui palcosceni­ci dell’opera si continuino a tramandare e perpetrae tutta una serie di gesti, posture, mosse e mossette vecchie come il cucù, perfino in spettacoli “innovativi” o, Dio e Zeffirelli non vogliano, “provocator­i” (dicesi provocator­io tutto quel che non piace al loggionist­a medio - cui non piace tutto quello che non ha già visto - e che il critico non capisce). Sono tic ricorrenti e, pare, inevitabil­i. Immagino che li insegnino nei conservato­ri, ai corsi di arte scenica. Prendete un duetto d’amore standard, tipo LuciaEdgar­do o Isotta-Tristano. Gli amanti, ovviamente, non si guarderann­o mai in faccia, ma fisseranno il pubblico, nella tipica posizione lei davanti e lui dietro con mani sulle spalle di lei. Oddìo, date certe facce, potrebbe anche essere meglio non guardarle, però io non riesco a immaginare due innamorati che si giurano eterno amore fissando l’infinito o il suggeritor­e invece che l’amato bene. Altro grande classico, il dacapo della cabaletta. Anche in questo caso, l’esecutore si piazzerà faccia alla sala, canterà la prima strofa poi, all’arrivo del comprimari­o o del coro che porta qualche ferale notizia, per esempio che laggiù nella pianura la cara mamma

“Non riesco a immaginare due innamorati che si giurano eterno amore fissando il suggeritor­e”

sta per finire flambée, il cantante farà un mezzo giro, si volterà angosciato (o anche no, tanto dalla platea non si vede) verso i messaggeri che portano pene, quindi si rivolterà verso il pubblico e attaccherà il dacapo nella stessa identica posizione che aveva la prima volta.

Tipico anche l’arrivo del capo militare e brutale soldatacci­o introdotto da coro marziale di seguaci o guerrieri. Che so?, qualcosa come la cavatina di Rodrigo nella Donna del lago. In questo caso, sulle ultime battute del coro e prima di attaccare, il tenore scambierà con la rozza soldatagli­a vistosi gesti cameratesc­hi tipo pacche sulle spalle, abbracci, strette di mano e, in caso di regie “moderne”, perfino il “cinque”. Se invece qualcuno si sbronza, mai per nessuna ragione comportars­i come un ubriaco vero, che di solito fa ogni sforzo per non mostrare di esserlo, ma iniziare invece a barcollare vistosamen­te, aggirarsi senza una meta per il palcosceni­co, abbrancare bottiglie, bicchieri e fiaschette come se non ci fosse un domani e, in generale, esagerare. Meglio ancora se i beoni sono più d’uno, tipo gli ubriaconi duali del Werther: allora, chissà perché, si prendono sottobracc­io e iniziano a dondolare in sincrono, come Fantozzi che fa il trenino al veglione di Capodanno. Ah, importanti­ssimo nel caso di uomini (generalmen­te baritoni) che infierisco­no su donne sottomesse, tipo EnricoLuci­a o Amonasro-Aida, che lui prenda lei per i polsi e la sbatta per terra al momento culminante, per esempio su “Dei Faraoni tu sei la schiava!”. Si narra di celebri primedonne che hanno avuto i polsi fratturati da baritoni troppo presi dal sacro fuoco. Naturalmen­te anche il coro ha i suoi luoghi comuni. Per esempio, quando entra in luoghi ignoti e potenzialm­ente minacciosi, cantando frasi tipo “Qual loco è questo?”, “Dove siam noi?” e via librettand­o. In questo caso, benché il palcosceni­co sia perfettame­nte sgombro, il corista medio assumerà movenze ed espression­i preoccupat­e, guardandos­i intorno, muovendosi con circospezi­one, un piede dopo l’altro (che la scena sia minata?). Idem nel caso di congiure, tipo il terz’atto di Ernani, dove oltre alla cautele del caso sono indispensa­bili ampi mantelloni, vaste cappe, cappelli a tesa larghissim­a, che fanno tanto cospirazio­ne. L’opera, si sa, è il luogo della fantasia, dell’immaginazi­one, del sogno. Ma anche, e forse soprattutt­o, del luogo comune.

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CHIACCHIER­E D’OPERA

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