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Quirino Principe
Da qualche parte, da conoscenti più o meno malevoli ma anche da persone non conosciute, mi è giunta la sollecitazione: perché taccio? perché non prendo posizione? Già dovrei dire la mia a proposito del Premio Nobel assegnato a un signore settantacinquenne, Robert Zimmerman, nato a Duluth nel Minnesota sabato 24 maggio 1941: in arte, Bob Dylan. Dovrei? Non dovrei? È un obbligo professionale? Sono incerto. Certamente, non è un obbligo: la maleducazione, quando supera certi limiti, non può essere perdonata. D’altra parte, è indubbio che i giudici di Stoccolma se la sono meritata. Sono essi che si sono piegati a un gesto coatto, politicamente correttissimo, “democratico” nel significato peggiore della parola, teso a fugare qualsiasi sospetto di “bieco conservatorismo”, di “filisteismo passatistico”, di “razzismo estetico”: un gesto benedetto fra l’altro da quasi tutta la congrega di santi uomini che riconoscono la “suprema autorità morale nel mondo” esercitata dal nemico giurato dei nostri cani e dei nostri gatti. Avendo piegato la schiena ad angolo retto, non potevano attendersi se non un gesto sprezzante. Inoltre, il vecchio vizio del lupo spelacchiato, quel vizio che per motivi analogamente vili (terzomondismo sfrenato, anti-eurocentrismo, fervore pre- [o post-] sessantottino, devoto donmilanismo, franzfanonizzante turoldismo…) aveva già indotto i predecessori dei príncipi elettori di Stoccolma a negare il Nobel per la letteratura a Borges (oramai si sospetta apertamente: a negarlo in nome del solito tic politicamente corretto), e a concederlo invece a nullità come Neruda, Soyinka, Mahfuz, per non dir di peggio (il nome monosillabo che vi aspettavate, ahimè, l’ho dimenticato: ho l’Alzheimer!), insomma, quel vizio avrebbe meritato molti altri sberleffi. A rovescio, si potrebbe giustamente osservare che la cafonaggine del maleducato con una specie di Stetson era già stata ampiamente superata, fin dall’inizio di questo millennio, dai villani rifatti e dagli asini calzati e vestiti che sputano sulla Nona Sinfonia di Beethoven, e che non sono presenti alla prima esecuzione ufficiale di una nuova Missa il cui titolo, guarda caso, porta il loro nome.
No, quello che più mi manda in bestia, in questa penosa faccenda, è il cumulo di sciocchezze che vengono dette nell’atto di delineare la controversia. Esempio: un sito che vi è caduto sott’occhio on line, il cui nome dovrebbe essere “Zenit” (senza l’acca) o simili, e che ovviamente (data l’assenza dell’acca) tripudia a favore dello schizzinosetto premiato, osserva che il Nobel assegnato a Bob Dylan «ha fatto storcere il naso ai benpensanti, che tuttora ritengono che la musica non sia letteratura». Un cumulo di scemenze in 16 parole. Ma chi ha mai detto che sia questo l’oggetto della contesa? Che cosa diavolo si è capito? Ma certo, è ovvio che la musica non è letteratura, esattamente com’è ovvio che un cavolfiore non è un ornitorinco! Il punto dolente è che in Italia (quasi soltanto in Italia fra i paesi del mondo civilizzato, non certo in Svezia o in Slovenia o in Cina o in Lituania eccetera!) la maggioranza imbecille dei letterati, degli accademici, degli operatori economici e politici, persino dei docenti di scuola media che rispetto ai suddetti sono più colti e intelligenti, è convinta che la musica non sia cultura. Questo andava detto! E allora la questione si sposta dalla letteratura alla musica. È probabile che, come “poeta”, Bob Dylan sia mille volte meglio di Soyinka o di Neruda, e alcuni sestilioni di volte meglio di Rondoni o della povera Merini. Ciò è evidente. Ma è rivoltante ciò che si è letto e udito a proposito della musica delle canzoni di Bob Dylan (visto che, giustappunto, non esiste il Nobel per la musica o per le arti visive, ed è un’ulteriore babbuaggine). Un docente dell’Università Cattolica, F. T., oltre a scrivere che «la musica rock è una delle più importanti e originali forme artistiche e culturali che il XX secolo ha generato» (da un letterato, ci aspettavamo: «…che abbia generato »), e oltre a non dire che nelle scelte stilistiche di Bob Dylan è il folk a prevalere sul rock, definisce Blood on The Tracks (1975) come un capolavoro della “cultura alta a tutti gli effetti”, e tale giudizio, credo, e soprattutto l’aggettivo, farebbe a sua volta andare in bestia Bob Dylan.
“Il vecchio vizio del lupo spelacchiato aveva già indotto a negare il Nobel per la letteratura a Borges”