TARALLI
LA RIVALE
In teoria dovrei sentirmi un po’ imbarazzato nel riferire di un’opera il libretto della quale è scritto da Alberto Mattioli, che è titolare di una rubrica fissa su questa rivista e che è mio carissimo amico: il rischio di una mancanza di obiettività non è esiguo, difatti. Ma alla mia età, scrupoli d’area politically correct mi sono stufato d’averne perché complicano troppo la vita. E dunque: libretto costruito molto bene a partire dalla novella di Eric-Emmanuel Schmitt (quello della bella commedia Il Visitatore, da noi vista in un riuscito allestimento di Calenda con Turi Ferro e Kim Rossi Stuart), con tutta l’arguzia, la scorrevolezza, la comunicativa di cui la prosa di Mattioli è da sempre caratterizzata; unita stavolta a una buona dose di sana cattiveria nei confronti di certi ben noti tic e propensioni sia per l’iperbole laudatoria sia per le stroncature apodittiche e “a prescindere” dei tanti frequentatori dell’opera lirica che della musica amano (e conoscono, per lo più) solo cadenze all’acuto, cabalettame, divisticherie più o meno – in genere più – d’accatto. Qua e là infastidisce, devo dire, giacché sottile sottile serpeggia la sensazione di riconoscercisi un po’ tutti, e di scoprirsi pertanto presi in giro con qualche ragione. Ma è sensazione ben passeggera a fronte dell’abile mix di ironia e di tragedia col quale si snoda la vicenda di Carmela Astolfi, diva d’antan che fu coetanea della Callas (quindi inevitabilmente sua rivale), e da questa messa in ombra: torna a Milano da anziana reliquia del passato inacidita dai ricordi, va in visita guidata alla Scala (dove le giovani commesse del negozio di dischi non ne conoscono il nome e non ne hanno le registrazioni), e viene riconosciuta solo da un vecchio fan con marcata propensione all’isteria (ovvia l’esclamazione “di-
“La breve vicenda si organizza in agili scene nelle quali ricordi, gossip, rivalse si mescolano delineando una parabola esistenziale che la musica prova a tradurre in altrettanti moduli stilistici dall’indubbio pregio di riuscire sempre comprensibili e seguibili, ma anche col difetto di non essere troppo caratterizzati”
viiiiinaaaa!!”), il quale le tiene compagnia durante la visita che è tutto un inno alla Callas più grande di tutte, cui controcanta di continuo l’indomita vecchia che racconta piccanti retroscene più o meno veritiere in gloria propria e denigrazione dell’Altra. Finché l’essere designata a capo della giuria per un premio intitolato proprio alla Callas, le procura un infarto: e alla cerimonia funebre, il suo fantasma ha l’ultima derisione nel sentirsi proclamare proprio dal suo gasatissimo fan amica e ammiratrice dell’eterna e più che mai trionfante Rivale.
La breve vicenda si organizza in agili scene nelle quali ricordi, gossip, rivalse si mescolano delineando una parabola esistenziale che la musica prova a tradurre in altrettanti moduli stilistici dall’indubbio pregio di riuscire sempre comprensibili e seguibili, ma anche col difetto di non essere troppo caratterizzati: stemperando di molto certa sulfurea ironia testuale, e rifugiandosi in una comoda ancorché ammiccante purea sonora che, nonostante l’ammirevolissima energia profusa dalla direzione di Beltrami, resta generica e spesso banalotta. Tiziana Fabbricini è tuttora il talentuosissimo animale di palcoscenico che s’è sempre ammirato: intatto il carisma, meno la voce, che tuttavia ha l’indubbio pregio di trovarsi alle prese con una scrittura cucitale addosso, sicché il suo favoloso lavoro sulla parola e sul gesto regge sovranamente il peso della serata. Le fanno ottima corona il basso Daniele Cusari nella parte del melomane nella quale un po’ tutti ci riconosciamo (a partire dallo stesso Mattioli, probabilmente), il tenore Giulio Pelligra in quello dell’antico e doverosamente ignorante accompagnatore della Diva, le soprano Giulia Perusi e Eleonora Boaretto bravissime entrambe per spigliatezza scenica e limpidezza della linea vocale. Il tutto, nel quadro d’uno spettacolo messo su con poco più di niente ma reso scorrevole e vivo dalla regia di Manu Lalli: salutato da franco e incondizionato successo, risultato obiettivamente ragguardevole per un’opera contemporanea, che premia la lodevole intenzione del Coccia di commissionarne una ogni stagione.