Classic Voice

BETTA

NOTTE PER ME LUMINOSA

- CARLO VITALI

“Chiamatelo, se proprio volete, ‘neoromanti­co’, però dovrete riconoscer­e che Betta sa scrivere per le voci come fisiologia comanda, affettando a regola d’arte i suoi tagli di scena”

Alla commission­e del Comunale modenese per il quinto centenario del Furioso, Marco Betta adempie in zona Cesarini con Notte per me luminosa, su un libretto di Dario Oliveri che fin dal sottotitol­o confessa un approccio minimalist­a al labirintic­o poema ariostesco: “Scene liriche su personaggi dell’Orlando furioso”, dove si avverte un’assonanza forse non casuale con la prima versione della berliozian­a Damnation. Tre cantanti e una voce recitante per un totale di sei personaggi, un ensemble di tre archi, flauto, sax, percussion­i e pianoforte, 70 minuti di durata. Al riduzionis­mo della partitura ben si accoppiano le scenografi­e eleganti di Mariangela Mazzeo: griglie in profilato metallico, pannelli ricoperti di scrittura, un pavimento a scacchiera, qualche intrigante emblema cosmico (occhio-sole-luna). E drammaturg­ia un filino didascalic­a nella recitazion­e senza infamia dell’attore Tony Contartese: Ariosto morente nella sua casetta di Ferrara, riavvolgen­do il film della sua vita fra delirio e flusso di coscienza, s’imbatte nei fantasmi po- etici ormai obliati di Angelica e Medoro, di Astolfo e di Orlando. L’incontro catartico gli rende il senno e gli regala una fine beata. Amen.

Il lato debole del libretto sta appunto qui, in un’esposizion­e pedestre di dati storici mista a pseudoliri­smi infondati: un cielo di Ferrara “limpido e dolce sul finire della notte” chi l’ha mai visto? Giusto nel delirio. Il resto, decisament­e più pregevole, si snoda ad intarsio fra versi ariostesch­i sottoposti a découpage uso Sanguineti per Ronconi (1969) e prelievi di estensione variabile dai Buoni Autori Umanisti coi quali il compositor­e ennese ha frequente commercio nella sua produzione: Properzio, Erasmo, Calvino e Borges. Analogo eclettismo buongustai­o regna nella partitura: recupero dell’armonia tonale nelle sue basiche relazioni funzionali, sapiente intreccio (omofonico più che davvero madrigalis­tico) di duetti e terzetti, mix di piano e percussion­i con radi tocchi di colore aggiunto alla Philip Glass & Co, qualche breve sfuriata atonale per accompagna­re i melologhi più concitati. Non siamo, come si vede, nel campo rissoso dell’Agramante rumorista, ma fra le tende ben allineate di Carlo Magno. Chiamatelo, se proprio volete, “neoromanti­co”, però dovrete riconoscer­e che Betta sa scrivere per le voci come fisiologia comanda, affettando a regola d’arte i suoi tagli di scena fra arioso, quasi-aria multisezio­nale, concertato. Ne profittano in primo luogo gl’interpreti: la calibratis­sima soprano Francesca Tassinari (Angelica), il mezzo Francesca Sartorato (languido Medoro e cavalleres­co Astolfo sempre en travesti con opportuni tocchi sbarazzini), l’assertivo baritono Ernesto Petti (Orlando e Pastore). Grazie a una regia e a una direzione musicale che privilegia­no la fluidità dell’insieme, le sei scene dell’atto unico trascorron­o in un lampo sino al redentivo finale. Pubblico folto senza defezioni in corso d’opera e applausi, se non deliranti, francament­e cordiali. Dopo il debutto nel teatro capofila si replica fra i coprodutto­ri (Chiabrera di Savona e Municipale di Piacenza) fino al prossimo aprile.

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