BETTA
NOTTE PER ME LUMINOSA
“Chiamatelo, se proprio volete, ‘neoromantico’, però dovrete riconoscere che Betta sa scrivere per le voci come fisiologia comanda, affettando a regola d’arte i suoi tagli di scena”
Alla commissione del Comunale modenese per il quinto centenario del Furioso, Marco Betta adempie in zona Cesarini con Notte per me luminosa, su un libretto di Dario Oliveri che fin dal sottotitolo confessa un approccio minimalista al labirintico poema ariostesco: “Scene liriche su personaggi dell’Orlando furioso”, dove si avverte un’assonanza forse non casuale con la prima versione della berlioziana Damnation. Tre cantanti e una voce recitante per un totale di sei personaggi, un ensemble di tre archi, flauto, sax, percussioni e pianoforte, 70 minuti di durata. Al riduzionismo della partitura ben si accoppiano le scenografie eleganti di Mariangela Mazzeo: griglie in profilato metallico, pannelli ricoperti di scrittura, un pavimento a scacchiera, qualche intrigante emblema cosmico (occhio-sole-luna). E drammaturgia un filino didascalica nella recitazione senza infamia dell’attore Tony Contartese: Ariosto morente nella sua casetta di Ferrara, riavvolgendo il film della sua vita fra delirio e flusso di coscienza, s’imbatte nei fantasmi po- etici ormai obliati di Angelica e Medoro, di Astolfo e di Orlando. L’incontro catartico gli rende il senno e gli regala una fine beata. Amen.
Il lato debole del libretto sta appunto qui, in un’esposizione pedestre di dati storici mista a pseudolirismi infondati: un cielo di Ferrara “limpido e dolce sul finire della notte” chi l’ha mai visto? Giusto nel delirio. Il resto, decisamente più pregevole, si snoda ad intarsio fra versi ariosteschi sottoposti a découpage uso Sanguineti per Ronconi (1969) e prelievi di estensione variabile dai Buoni Autori Umanisti coi quali il compositore ennese ha frequente commercio nella sua produzione: Properzio, Erasmo, Calvino e Borges. Analogo eclettismo buongustaio regna nella partitura: recupero dell’armonia tonale nelle sue basiche relazioni funzionali, sapiente intreccio (omofonico più che davvero madrigalistico) di duetti e terzetti, mix di piano e percussioni con radi tocchi di colore aggiunto alla Philip Glass & Co, qualche breve sfuriata atonale per accompagnare i melologhi più concitati. Non siamo, come si vede, nel campo rissoso dell’Agramante rumorista, ma fra le tende ben allineate di Carlo Magno. Chiamatelo, se proprio volete, “neoromantico”, però dovrete riconoscere che Betta sa scrivere per le voci come fisiologia comanda, affettando a regola d’arte i suoi tagli di scena fra arioso, quasi-aria multisezionale, concertato. Ne profittano in primo luogo gl’interpreti: la calibratissima soprano Francesca Tassinari (Angelica), il mezzo Francesca Sartorato (languido Medoro e cavalleresco Astolfo sempre en travesti con opportuni tocchi sbarazzini), l’assertivo baritono Ernesto Petti (Orlando e Pastore). Grazie a una regia e a una direzione musicale che privilegiano la fluidità dell’insieme, le sei scene dell’atto unico trascorrono in un lampo sino al redentivo finale. Pubblico folto senza defezioni in corso d’opera e applausi, se non deliranti, francamente cordiali. Dopo il debutto nel teatro capofila si replica fra i coproduttori (Chiabrera di Savona e Municipale di Piacenza) fino al prossimo aprile.