FALLA
EL AMOR BRUJO: EL FUEGO Y LA PALABRA
INTERPRETI E. Fernández, cantaora; Miguel Ángel Cortés, chitarra flamenca
DIRETTORE Felix Krieger
REGIA Carlus Padrissa/La Fura dels Baus
TEATRO Comunale
★★★★
“Rottamare il luogocomunismo turistico è cosa giusta trattandosi di Falla, maestro del rigore in un primo Novecento fin troppo incline allo Strapaese”
Il temibile “estilo furero” non starà virando sul calligrafismo? In luogo della decostruzione ecco una regia tesa e coerente, unificata da un modulo scenografico che debutta come citazione dal costruttivismo russo (una torre di Tatlin in velo da sposa, pròtesi di una vera sposa gesticolante da quota sei metri) e poi si cambia in ruota di tortura, trono diabolico, altalena e altro. Colpaccio firmato Carlus Padrissa, che per la musica ha operato un incrocio fra un’edizione Urtext e un’antologia annotata. Fa da testo base El amor brujo 1.0, cioè la gitanería in un atto e due quadri commissionata a Don Manuel dalla cantaora e ballerina flamenca Pastora Imperio, che il 15 aprile 1915 la inaugurò nel piccolo Teatro Lara di Madrid. Un fiasco, donde i rifacimenti d’autore fino al 4.0. Ovvio che filologia e politically correct volessero il ripristino della voce folklorica al posto del mezzosoprano lirico, nonché l’attribuzione del libretto a María de la O Lejárraga e non a suo marito Gregorio Martínez Sierra.
E fin qui poco da eccepire. Più ardito l’innesto di frammenti sinfonici a mo’ di segnalibri fra un numero e l’altro: “En el Generalife”da Noche en los jardines de España, l’introduzione al balletto El sombrero de tres picos e la “Danza española” da La vida breve; più la canzone popolare Amor gitano e certi improvvisi chitarristici forse microfonati oltre il bisogno. Col che la recita si espande a 90 minuti di fila, e dall’operina da camera a un’abbuffata multimediale di coreografie, effetti speciali, proiezioni d’annata dai rulli del pioniere José Val del Omar misti a stacchi in tempo reale su scena e fossa orchestrale. Buona la chimica fra i danzatori iberici e il “ripieno” degli studenti bolognesi; crepitare di zapateado e - tanto per gradire - generosi movimientos de culos y de nalgas descubiertas, sintagma rubato a un antico re di Portogallo. Bionda e rotondetta al pari di un’olandesina, Esperanza Fernández poco risponde all’archetipo di una Carmen non ancora tradotta in francese. Eppure il suo colore sopranile, non rauco né uterino come di prammatica per la tipica cantaora flamenca, s’inerpica con facilità sui vertiginosi melismi arabeggianti del cante jondo, e nel declamato seduce con la molle fonetica del dialetto andaluso. Rottamare il luogocomunismo turistico è cosa giusta trattandosi di Falla, maestro del rigore in un primo Novecento fin troppo incline allo Strapaese. Ottima prova dell’orchestra di casa sotto la bacchetta analitica del friburghese Felix Krieger.