DVORÁK A BOHEMIAN RHAPSODY
Ilya Gringolts VIOLINO Prague Philharmonia
ORCHESTRA
Nicola Guerrini
DIRETTORE
CD Deutsche Grammophon 481 43646
18,60
PREZZO
★★★★
Il titolo del bel saggio con cui Antonio Rostagno chiarisce il senso racchiuso in questo avvincente disco, “Una figura di confine”, mi ha riportato con la memoria ad una pagina di Milan Kundera, una delle tante riflessioni musicali affioranti da quel singolare specchio autobiografico che è I testamenti traditi. Il grande scrittore che ama fortemente Janácek e pure è ammiratore di Dvorák, a differenza di Smetana verso cui nutre un dichiarato distacco, si sofferma sui limiti delle “piccole nazioni europee” le quali “hanno conquistato la libertà e l’indipendenza durante gli ultimi due secoli”- come quella ceca, appunto, - per rimarcare insieme ai pregi, “uno straordinario senso del reale, l’attaccamento alle classi popolari, all’arte popolare, un rapporto più spontaneo col pubblico”, anche i limiti, quelli di vedere entro il “ristretto contesto nazionale” a dispetto del “contesto ampio”. È indubbio, infatti, come entro tale limitante cornice sia stata collocata l’immagine di Dvorák. Se è vero che il compositore ha affondato le proprie radici nel secolare terreno della cultura popolare del suo paese, non è meno importante riconoscere come la sua educazione sia stata sorretta dallo studio dei classici, da Haydn a Mozart - “Mozart
è il raggio di sole”, diceva a Beethoven da Schubert a Schumann, senza dire poi del rapporto con i contemporanei, Liszt e Brahms. Con il musicista amburghese, dal quale ricevette incoraggiamenti ed aiuti, stabilì un rapporto di reciprocità, ben attestata dalle parole di Brahms (“Nessuna nota di Dvorak mi è indifferente. Ci sono tante melodie che vagano nell’aria che devo fare attenzione a non calpestarle…”). Per dire pure di una differenza, nel senso che mentre il “colore” assimilato da Brahms, quello delle Danze ungheresi, era una rielaborazione di autentico materiale folclorico, per Dvorák si trattava di invenzione, pur nutrita dallo studio delle strutture, armoniche e melodiche, del canto popolare; la stessa cosa che troveremo in Bartók. Attorno a tale più approfondita nozione di “confine” va appunto collocata l’impaginazione di questo bel disco in cui pagine di più evidente impronta classicistica, come il Concerto per violino, o di respiro poematico, quali le due ouvertures: Othello e Carnival si intersecano ad altre più dichiaratamente “leggere” come Mazurek e la Romanza in Do minore, in un gioco di scambi non poco intrigante. Ilya Gringolts è violinista di straordinari estri, ben accolti, si sente, da Nicola Guerini che dirige la brillante PKF-Prague Philharmonia.