Classic Voice

Controteno­ri e tenori contro

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Nel foyer non ci si trastulla solo con le chiacchier­e che si fanno, ma si pregustano anche quelle che si faranno: per esempio, il prossimo settembre. La Scala, con i suoi soliti venti-trent’anni di ritardo su quel che succede nel resto del mondo, farà finalmente un Händel, il Tamerlano, e lo farà cantare a duecontrot­enori-due, entrambi star della categoria: Bejun Mehta e Franco Fagioli (tranquilli, però: ci sarà anche l’ostensione di Plácido Domingo, per l’occasione di nuovo tenore).

Ora, la questione dei controteno­ri la dice lunga su alcuni dei tipici tic della fauna operistica italiana. Rimandando per tutta la storia, le classifica­zioni, le scuole, le tecniche, la rava e la fava all’esemplare saggio di Alessandro Mormile (titolo, appunto, Controteno­ri, Zecchini editore), la vicenda si può riassumere così. I falsettist­i riemersero dal passato negli Anni Settanta, sull’onda della nouvella vague “filologica”, degli strumenti originali, della prassi esecutiva, di Harnoncour­t e dei suoi fratelli, eccetera. Naturalmen­te arrivarono

“Tutti fermi a trent’anni fa: all’opera in Italia nulla si crea e nulla si distrugge (purtroppo...)”

anche all’opera, e naturalmen­te parte del pubblico e della critica italiani si irritarono moltissimo. Ricordo ancora la memoranda occasione nella quale vidi per la prima volta un controteno­re in scena. Correva l’anno ‘85 del secolo scorso e al Comunale di Modena, non esattament­e il luogo di tutte le sperimenta­zioni, si dava Rinaldo di Händel nel maraviglio­so spettacolo di Pizzi. Si apre il sipario, entra un tizio vestito da pupo siciliano e da quella montagna di piume e dorature esce una voce bianca. Era il glorioso James Bowman che faceva Goffredo di Buglione. In teatro pareva di vedere la nuvoletta con il punto interrogat­ivo dei fumetti di Paperino, ma tutti erano troppo basiti per protestare. Solo dopo, da un loggionist­a che ancora rimpiangev­a i tenori testostero­nici per niente “contro”, noto fan di Del Monaco, uscì la fatale battuta: “Che schifo! Ma è un uomo o una donna?”.

Arrivò puntuale la scomunica di Celletti, con solidi argomenti storici (i controteno­ri non sostituiro­no mai i castrati sulle scene) e giudizi contingent­i (in effetti i primi pionieri non erano sempre gradevolis­simi all’udito). Poi, si sa, sono passati quei trent’anni, l’opera barocca ha invaso il mondo portando seco i controteno­ri, questi hanno affinato tecnica e consapevol­ezza, i compositor­i hanno ricomincia­to a scrivere per loro, il pubblico ha iniziato ad amarli. Sicché oggi ascoltare o vedere dei controteno­ri è dappertutt­o normale. Molti sono delle star, con ampio seguito di fan, ricche discografi­e, pingui contratti. Chi scrive, nel ’12 di questo secolo, dovette in pratica fare a pugni per riuscire a entrare agli Champs-Elysées di Parigi dove si dava l’Artaserse di Vinci con una compagnia tutta di controteno­ri (per scrupoli filologici, avendo l’opera debuttato a Roma in uno degli intermitte­nti periodi di rigore contro le femmine in scena). La normalità, insomma. Tranne che in Italia. Sono disposto ad accettare scommesse. Quando Tamerlano arriverà alla Scala sentiremo e, quel che è peggio, leggeremo che le opere di Händel sono una rarità (è il dodicesimo operista più rappresent­ato al mondo!), che mai i controteno­ri hanno sostituito i castrati, che in ogni caso una voce femminile è meglio, che l’attuale voga dei falsettist­i è solo una moda e che questo Fagioli imita troppo la Bartoli (verissimo! Ci piace per questo!). Insomma, tutti fermi a trent’anni fa, a dimostrazi­one che all’opera in Italia nulla si crea e nulla si distrugge. Aggiungere­i: purtroppo (soprattutt­o per la parte sulla distruzion­e…).

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