BERCHIDDA COMPIE I 30
Time in jazz, festival che Paolo Fresu dirige dal 1988 a Berchidda (Sassari), suo paese natale, compie 30 anni dall’8 al 16 agosto con appuntamenti in spazi inconsueti come chiese di campagna, prati, rive di laghi e fiumi. Ospiti fra i tanti l’Art Ensemble of Chicago, Uri Caine, Enrico Rava, Andy Sheppard, Tomasz Stanko, Markus Stockhausen, e molti jazzisti italiani. Per informazioni dettagliate su partecipanti, luoghi e orari: www.timeinjazz.it nell’universo
di Bruno Lauzi deriva dal fatto che la canzone ha un andamento melodico-armonico che la rende simile a una romanza d’opera?
“Trovo che sia una delle più belle canzoni che siano mai state scritte. Mi emoziona: qualcosa di simile succede con Caruso di Dalla. Nel momento in cui affronti un repertorio e non un altro, sulla ragione razionale prevale quella sentimentale, resta però la prospettiva personale che s’identifica col suono”.
Passando alla questione pubblico, le barriere di genere jazz e classico pongono confini a suo parere invalicabili?
“Infrangere le barriere che le musiche oppongono è lecito: anche perché sono convinto che il pubblico sia capace di cogliere e apprezzare le trasformazioni possibili quando si mette mano a una pagina nata in un ambito per trasferirla altrove”.
Potenzialmente concordo. Ma non ritiene che i due pubblici rimangano separati e che le operazioni trasversali che lei e altri jazzisti fanno non trovino un varco per un’intesa comune?
“Sono ottimista perché penso che l’apertura agli incroci sia salutare per il pubblico che in tal modo può scoprire e capire come il jazz sia legato alla musica classica”.
Una bella utopia, non ancora realizzata al momento.
“Tuttavia il pubblico di oggi ha più capacità di sintesi di quello di ieri: accetta e apprezza operazioni cameristiche come quelle fatte con Paola Turci in duo acustico tromba, chitarra classica e voce”.
La storia insegna che lo spunto di una melodia popolare ha dato origine a molti capolavori “colti”. E anche il bop o quel che è l’evoluzione dello standard nasce dalle forma canzone, che va aggiornandosi nei new standard. D’altra parte anche gli sviluppi sinfonici nascono spesso da cellule ritmiche o melodiche che potrebbero sembrare “canzonette”. Quale evoluzione vede per il jazz nella sua forma più raffinata e, nel suo caso, che progetti ha per l’immediato futuro?
“Penso che si debba osare di più: sonorità nuove e abbinamenti strumentali non scontati per esempio. Il mio prossimo progetto riguarda il Davil Quartet acustico, con la batteria di Stefano Bagnoli ridotta all’uso delle spazzole e Bebo Ferra alla chitarra classica. Mi attende poi l’Orchestra jazz del Mediterraneo per una rilettura della storia jazz nel rispetto della sua cronologia firmata dall’arrangiatore Paolo Silvestri”.