Basso ostinato
Ossessione su basso ostinato. La ciaccona, e in genere ogni tipo di variazioni analogo (dalla Follia alla consorella Passacaglia), ispira una beatitudine d’ascolto assoluta. Ipnotica, immediata e duratura come l’insistente passo tematico e tonale al grave che la caratterizza. Ancor più se il riferimento è la Ciaccona per antonomasia, che non ha bisogno di specifica d’autore ma solo strumentale: originale o trascrizione-rielaborazione? Per violino come la scrisse Bach o per “ogni sorta di strumento” concepibile, qualcuno inimmaginabile? Può sembrare una nevrosi d’ascolto o un rischio ripetitivo elencarli. Ma l’indole, passionale e astratta allo stesso tempo, dell’ultima danza della Partita II induce in tentazione. Molti musicisti l’hanno assecondata. Conosciamo tutti la versione “di” Busoni, come sempre fedele e nel contempo d’autore; un po’ meno nota, per rimanere in tema, l’analoga operazione messa a meravigliosa dimora da Brahms e destinata alla sola mano sinistra. Bach-Busoni è un capitolo a parte nella storia del repertorio pianistico, ma vi coabitano altre versioni. Alcune trasportate sul suono più aguzzo del clavicembalo altre portate sul pianoforte ma con alcuni “contribuiti” d’interprete come fa ascoltare Gabriela Montero, che ama mettere la propria firma di improvvisatrice non per conto terzi sulle musiche eseguite. Sempre per restare nell’ambito delle tastiere, una storia nella storia, raccontano le numerose riscritture per organo; da quella ottocentesca dell’inglese William Thomas Best alle più tarde di John Cook, Wilhelm Middelschulte, Walter Henry Goss-Custard, Henri Messerer e di Ulisse Matthey, forse il più celebre organista italiano dei primi del Novecento (dal 1923 insegnante al Conservatorio della natale Torino,