Rivoluzione in casa VERDI
“Falstaff” da riconsiderare. “Don Carlo” prima versione finalmente editabile. Ecco come cambia il progetto delle edizioni critiche verdiane dopo l’apertura di Sant’Agata
Francesco Izzo è il General Editor dell’Edizione critica delle opere di Giuseppe Verdi in corso di pubblicazione da parte di University of Chicago Press e Casa Ricordi. Per quanto riguarda i titoli operistici, il piano editoriale prevede trentuno volumi, dei quali soltanto quattordici sono già stati pubblicati. A questi se ne aggiungeranno altri cinque a breve termine. Restano questi titoli: Oberto, Jérusalem, La battaglia di Legnano, Les vêpres siciliennes, Simon Boccanegra prima e seconda versione, Aroldo, Don Carlos prima e seconda versione, Aida, Otello e Falstaff. Nessuno meglio di Izzo può spiegare l’importanza dell’apertura dell’archivio di Sant’Agata ai fini del completamento dell’opera.
Prima che “Classic Voice” ne pubblicasse l’elenco, dei manoscritti musicali conservati a Sant’Agata si sapeva ben poco. Alla luce di queste rivelazioni, è cambiato qualcosa nel piano delle edizioni critiche delle opere verdiane?
“L’elenco di ‘Classic Voice’ è stato molto utile a chiarire la quantità e l’entità dei materiali (ovvero le composizioni
a cui i materiali stessi si riferiscono). Il piano dell’edizione critica non è cambiato, ma si è certamente rafforzata la convinzione che l’accesso a questi materiali, in molti casi assai copiosi, sia fondamentale per la preparazione delle edizioni di opere già note, soprattutto gli ultimi capolavori, da Aida in poi”.
In che modo questi abbozzi e schizzi possono essere utili (o addirittura indispensabili) per chi cura un’edizione critica?
“Dipende dal tipo di materiale. A Sant’Agata possiamo aspettarci di trovare tre tipi di manoscritti musicali: 1) abbozzi preliminari, idee isolate; 2) abbozzi continuativi (“continuity drafts”), ovvero materiali preliminari ma già avanzati, che contengono stesure di interi numeri o sezioni con le parti vocali, il basso, e accenni di orchestrazione; 3) fogli originariamente contenuti nelle partiture autografe definitive e poi scartati o sostituiti. Tra questi, gli esempi 1 e 2 non sono essenziali per un’edizione critica. Ci chiariscono il processo creativo, il pensiero del compositore e come esso si forma e si sviluppa, ma solo raramente sono essenziali ai fini di preparare il testo musicale principale. Nell’edizione critica delle opere di Verdi, abbozzi isolati sono pubblicati in appendice, mentre ad abbozzi più estesi sono state dedicate edizioni separate: dalla pubblicazione in facsimile dell’abbozzo di Rigoletto al progetto ambiziosissimo e splendidamente realizzato da Fabrizio Della Seta di pubblicare un facsimile e un’edizione critica degli abbozzi della Traviata. I fogli estratti dalle partiture in seguito a ripensamenti e conseguenti modifiche, cioè quelli del punto 3, sono più importanti. Per esempio, il Falstaff di Milano non è ricostruibile con chiarezza senza accedere ai materiali di Sant’Agata. L’edizione critica proporrà come testo principale una partitura che tenga conto anche dei ripensamenti di Verdi, ma dovrà rendere conto in appendice e nel commento critico della struttura del manoscritto e dei suoi contenuti ‘originali’. Non parliamo di Simon Boccanegra, la cui prima versione (1857) non è ricostruibile con chiarezza se non tramite accesso ai materiali di Villa Verdi”.
L’annuncio che questo patrimonio dovrebbe essere presto consultabile che conseguenze porta nel vostro piano di lavoro?
“Grande emozione e grande attesa. L’ordine previsto di pubblicazione di titoli quali Don Carlos, Otello, e Falstaff potrebbe cambiare in modo significativo. Il lavoro dei curatori potrebbe diventare più agevole e si potrebbe arrivare a edizioni pronte per la pubblicazione, e non soltanto per l’esecuzione, in tempi ragionevolmente brevi”.
Per quanto riguarda la catalogazione e la digitalizzazione dei manoscritti, quali sono le vostre aspettative?
“Vorrei chiarire che l’accesso in digitale è un passo importante, ma non risolutivo. Il filologo dev’essere in grado di consultare gli originali per verificare tipi di carta, cancellature, e struttura. Intendo il modo in cui i fogli singoli o doppi sono organizzati, rilegati, inseriti l’uno dentro l’altro. Naturalmente, se il lavoro di catalogazione e digitalizzazione sarà fatto bene, la necessità di accesso fisico sarà ridotta, ma mai fino a scomparire del tutto. Le aspettative fondamentali sono di tre ordini: 1) Catalogazione competente e dettagliata, che renda conto dei materiali musicali specifici (opera, numero, battute…) e della condizione fisica della fonte (dimensioni delle carte, nume-
ro di pentagrammi, filigrane, inchiostro). Dal punto di vista metodologico, Della Seta ha stabilito un precedente magistrale per quanto riguarda il rigore e la chiarezza. L’importante è fare riferimento a questo e altri modelli. 2) Digitalizzazione effettuata con tecnologie e tecniche adeguate. L’alta definizione si può dare per scontata, immagino. Ma è solo un punto di partenza. Fonti manoscritte di questo tipo sono talvolta di difficile lettura, e vi sono complicazioni legate allo stato di conservazione, al “bleed-through” di inchiostro da una facciata all’altra dello stesso foglio, e così via. Illuminazione e contrasto devono essere ideali, e comunque nessuna immagine digitale può sostituire l’esame fisico, ‘dal vivo’, della fonte. Ecco perché il punto 1 è così importante. Le sole immagini non bastano.
3) Conservazione dei supporti digitali. La longevità delle riproduzioni e la loro accessibilità non sono da dare per scontate. Che formati si utilizzeranno? Che server ospiterà le riproduzioni digitali? Quale sarà la velocità di accesso? Come verranno elaborati i metadati, e quali saranno i criteri di ricerca e visualizzazione? Non sono un tecnico, ma so che sono questioni da affrontare con estrema attenzione se si vuole garantire il successo di un’iniziativa di questo tipo.
Ripeto: anche in presenza di condizioni ottimali per quanto riguarda questi tre ordini, nessun progetto di digitalizzazione potrà mai supplire per intero all’accesso fisico. I materiali vanno studiati, discussi, presentati in pubblicazioni di alto livello scientifico. La squadra di lavoro che si occuperà della digitalizzazione avrà l’occasione senza precedenti, e forse irripetibile, di svolgere questo lavoro ‘dal vivo’. Competenza e trasparenza sono essenziali”. La maggior parte delle edizioni critiche già pubblicate riguarda il primo Verdi e di quel periodo non ci sono abbozzi. Ma ce ne sono alcune già pubblicate di opere (Luisa Miller, Messa di Requiem, Trovatore) per cui gli abbozzi ci sono e non sono mai stati analizzati. È ipotizzabile per quei titoli una revisione, o un’appendice, quando gli abbozzi saranno disponibili? “Ipotizzabile, ma non probabile. Come ho accennato prima, l’edizione degli abbozzi è progetto separato. La conoscenza degli abbozzi stessi, invece (e l’edizione di materiali che riflettono versioni originali, revisioni, etc.) è fondamentale per la preparazione delle edizioni critiche”. Al di là dell’elenco che conosciamo, compilato da una degli eredi del Maestro, è pensabile che fra quei manoscritti possa spuntare qualche tesoro a sorpresa? “Ne dubito, nel senso che Verdi non ha mai composto Re Lear! Ma dal punto di vista del processo creativo, mi sento di dire che ogni abbozzo di Verdi è un tesoro, pieno di soprese per chi sa leggere questi materiali con pazienza, voglia di capire e spirito critico”.