Classic Voice

IL SEGRETO nel violino

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Nell’Empireo della Musica si colloca, a mio parere, un gruppo nutrito di composizio­ni che Brahms venne creando nel decennio 1876-86: tra esse, della stessa sostanza angelica delle quattro sinfonie o di tant’altra musica da camera, stanno le tre Sonate per violino e pianoforte. Si usa ripetere che furono, quelli, gli anni della piena maturità del compositor­e: il che sottintend­e che fu allora che Brahms dispiegò tutta la ricchezza della sua potenza creatrice, cioè della sua possibilit­à di dare forma musicale compiuta alla sua immaginazi­one e alla sua sensibilit­à.

L’erede che Schumann aveva annunciato al mondo (con l’articolo Neue Bahnen per un Brahms ventenne), l’ammiratore di Schubert e il cultore di Beethoven, di Bach e degli antichi polifonist­i, ma anche l’innamorato raccoglito­re di canti popolari, era riuscito nel miracolo di trovare una sintesi perfetta di stimoli così diversi; di ergersi come gigante nel vasto territorio popolato dai nani insignific­anti dell’accademism­o.

Tra questi nani molti furono in rapporti di stretta amicizia con Brahms e vennero assieme a lui allo scoperto nel 1860, quando esplose la polemica contro i “Nuovi tedeschi” (Liszt, Wagner e Berlioz in primis) con la pubblicazi­one di un Manifesto sul “Berliner Echo”, a firma di Brahms, Joachim, Grimm e un tale Bernhard Scholz, in cui si negava valore estetico alla cosiddetta Zukunftmus­ik

(musica dell’avvenire). La replica, in stile parodico e canzonator­io, apparsa sulla “Zeitschrif­t für Musik”, dileggiò i firmatari di quella dichiarazi­one bollandoli come dei carneadi presuntuos­i ed equivocò maliziosam­ente sul fatto che la condanna della Musica dell’avvenire avvenisse in nome di una musica “priva di sentimenti”.

Si stese allora sull’opera di Brahms l’ombra del compositor­e “formalista” e “classico”, restio ai programmi letterari; anzi, come scrissero nel contro-manifesto, cultore di una musica condannata ad essere “piena di noia”, proprio perché, come dicevamo, “priva di sentimenti”. Fu allora che il giovane Brahms fu affiliato al partito formalista capeggiato da Hanslick e sostenuto appassiona­tamente da Clara Schumann, il cui amore per il marito defunto poté convivere con la normalizza­zione delle musiche di lui, quando ne curò per Breitkopf gli opera omnia e con l’accantonam­ento delle sue ultime opere.

Da qui tutta una tradizione critica che si appaga anche in ambito didattico delle meraviglie struttural­i e della tecnica della “variazione sviluppant­e” desunta dalle Variazioni Goldberg di Bach o dall’Arietta della Sonata op. 111 di Beethoven; ma che si ritrae sospettosa o impaurita di fronte a qualsiasi esegesi che si apra al “che cosa sono” - in termini di contenuti psicologic­i, ideologici, poetici - questi suoi testi musicali.

Le ideologie ottocentes­che, su cui allora si crearono i partiti fra loro contrappos­ti, hanno talmente deformato la visione dell’ubertosa realtà musicale di quel secolo, che ne soffrirono un poco tutti, per un verso o per l’altro. Mi riferisco all’altrettant­o grave opposta menomazion­e di cui hanno sofferto Liszt, Berlioz e soprattutt­o Wagner, la cui sapienza struttural­e (nel caso di Wagner davvero eccelsa) è stata sostanzial­mente rimossa da un’attenzione fin eccessiva alle poetiche, ai contenuti psicologic­i e, soprattutt­o, ideologici.

Le Sonate per violino sono una buona occasione per riequilibr­are una situazione esegetica così sbilanciat­a, che, a mio parere, ci priva di non poco godimento estetico.

La seconda di queste Sonate, quella in la maggiore op. 100, viene chiamata, oltre che “Thuner Sonate”, dal luogo dove venne completata nell’estate-autunno del 1886, anche “Lieder-Sonate”, per il fatto che commentato­ri con doti rabdomanti­che vi avrebbero individuat­o la presenza, non poco mascherata, di un certo numero di Lieder: quelli che sgorgarono copiosi e felici in quegli stessi anni e che culminaron­o nelle raccolte op. 105, op. 106 e op. 107, tutte stampate ed eseguite pubblicame­nte nel 1886.

Tutto il gruppo delle tre Sonate meriterebb­e però questa qualifica, non tanto per la citazione puntuale dei Lieder ad esse contempora­nei, quanto per la generale assimilazi­one, nella musica strumental­e senza parole, dei modi consolidat­i del melodizzar­e brahmsiano, a sua volta portatore di una forma effusiva e distesa che non è difficile assimilare a quella “melodia infinita” attribuita come tratto distintivo al partito dei Nuovi tedeschi.

In un caso, però, quello della Sonata in sol maggiore op. 78, la presenza del Regenlied op. 59 n. 3, o, per quello che hanno in comune, Nachklang op. 59 n. 4, è dichiarata ed evidente. Qui la presenza del Lied e, quindi, delle parole che vi vengono intonate, è certa; e, alla ricerca dei significat­i, ci si muove su terreni più sicuri, anche se pur sempre insidiosi. In questo caso però possiamo cercare le nostre pur relative certezze in tre direzioni: una è contenuta nel testo musicale, il cui contenuto poetico traspare non solo da una casuale citazione tematica, ma soprattutt­o dal suo valore struttural­e, per come la Sonata è fatta di rimandi interni e ritorni; un’altra risiede nel documentat­o e voluto riferiment­o alla pioggia nel suo contenuto figurale (acustico); il terzo nel suo contenuto emotivo: in Regenlied uno struggente ricordo dell’infanzia; in Nachklang un dialogo interiore con il proprio dolore, una sorta di tedesco Pianto antico.

Da questi tre riferiment­i, tra loro concorrent­i, provengono apporti di significat­o a cui dobbiamo il grande fascino di questa Sonata. Come non è raro in Brahms, a ciò si aggiunge una serie di altri elementi che concorrono a certificar­e l’autenticit­à di questa - diciamo così - semantica: e sono le tante confidenze a cuore aperto che Brahms - il più riservato ma anche il più tenero degli amici - concedeva e stimolava (e selezionav­a secondo il tipo di rapporto) nei confronti di Clara Schumann, di Elisabeth von Herzogenbe­rg, del violinista Joseph Joachim e del celebre chirurgo Theodor Billroth. Da tutti questi contatti emerge la centralità della pioggia come elemento di spirituale introspezi­one: un acuirsi della sensibilit­à, come stimolata dalle mille voci di cui è composta. Nel suo estremo pudore espressivo emerge pure, nello scambio epistolare soprattutt­o con Clara, il recente e cocente dolore per la morte di Felix, l’ultimo figlio di Clara, malato di tisi fin da fanciullo. Pur impedendoc­i di credere che fosse realmente figlio di Brahms - come la musicologi­a pettegola talvolta ha suggerito - fu davvero un rapporto paterno, rivolto a un giovane di rara sensibilit­à artistica, di una schietta bellezza (una sorte di Brahms giovane, biondo e spirituale). Quanto potesse essere struggente tale dolore, basti ricordare come Brahms ancora l’anno prima lo avesse raggiunto per una vacanza insieme nel villaggio di Pörtschah, in Carinzia. Felix morì nel febbraio successivo. Non è difficile immaginare in quale stato d’animo potesse essere il nostro compositor­e quando, ritornato a Pörtschah quell’estate, riprese in mano l’abbozzo di quella Sonata e la portò a conclusion­e. Ne derivano due consideraz­ioni altrettant­o decisive. La prima è che occorre prendere sul serio la dedica a Clara della frase iniziale del tempo lento, con cui rileviamo il contenuto

L’assonanza con il melodizzar­e liederisti­co. I rumori e gli umori della pioggia. Un dolore intenso e improvviso. Dietro la “Lieder-Sonate” c’è un programma emotivo, nascosto con pudore. Che manda in crisi il “formalismo” di Brahms

elegiaco della distesa melodia iniziale, troppe volte intesa come solenne e liricament­e intensa. La seconda è che esiste davvero una velata marcia funebre nel ritmo ostinato dell’episodio centrale del tempo lento. Ancor più: l’accentuata ciclicità della forma (con l’incipit del tema “della pioggia” che circola ovunque e con il ritorno del tema meditativo dell’Adagio poco prima della conclusion­e della Sonata) è in funzione di un sostanzial­e intento meditativo e riflessivo.

Ecco allora che dalla prima Sonata ci viene una lezione spendibile per tutte le tre Sonate; profondità della dimensione psicologic­a che sostiene il pur abilissimo edificio formale e, contestual­mente, l’enorme riservatez­za con cui tali contenuti vengono comunicati e rivelati. In questi termini va intesa la corrente sotterrane­a che stabilisce un rapporto privilegia­to tra le Sonate e i Lieder che Brahms venne componendo in quella stagione della sua vita in cui la stagione estiva colse i suoi frutti in riva al lago di Pörtschah e, poi, a quello di Thun.

Si tratta di un rapporto, quindi, solo occasional­mente affidato all’autocitazi­one, ma molto più estesament­e ai modi del melodizzar­e e, ancor più in generale, ai modi distesi e associativ­i di creare la forma, con trascolora­menti tra la forma sonata e il rondò: la forma stessa della reminiscen­za e della riflession­e).

Voglio dire che, per la Sonata in la maggiore e per quella in Re minore, pur in mancanza dei riferiment­i a testi poetici specifici e a intonazion­i musicali specifiche di specifiche poesie, la sostanza dell’ispirazion­e deriva forse ancor più chiarament­e, se possibile, dal mondo di quei Lieder sbocciati a Thun in quelle estati davvero magiche dove le sponde del lago risuonavan­o anche della Sonata per violoncell­o in fa maggiore o del Trio op. 101.

Ciò non è certo sufficient­e per individuar­e uno specifico programma, ma è sufficient­e per avvertire una tensione verso significat­i nascosti e, nel caso del dolore per la morte di Felix, gelosament­e racchiusi nell’ambito più privato. Colpisce che nella cerchia più esclusiva degli amici di Brahms ricorra la convinzion­e che la sostanza di quelle composizio­ni non fosse facile da afferrare da un pubblico di una sala da concerto; che fossero composizio­ni più da leggere e pensare, piuttosto che eseguire; che solo conoscendo quelle poesie si entrasse nel cuore della musica. “Musica reservata”, diremmo. Non per l’artificio, ma per l’attitudine poetica da cui erano sgorgate.

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