Allusioni patriottiche
Lo scatto della Marsigliese che sbuca nella seconda sezione dell’Inno della Nazioni di Verdi fiduciosamente riproposto un mesetto fa alla Scala, a coronamento dell’omaggio a Toscanini, ha messo voglia di censire alcune altre citazioni “firmate”, inserite in celebri partiture sinfonico-strumentali. Perché anche se proprio qualche anno fa, per merito di Guido Rimonda che sta registrando (e quindi sparigliando e catalogando con rigore) l’opera omnia di Viotti, la paternità della musica a Claude-Joseph Rouget de Lisle è stata messa in discussione (il tema delle viottiane Variazioni in Do maggiore del 1781 in realtà “è” già La Marsigliese) pochi altri inni nazionali hanno trovato ospitalità spirituale e pratica dovunque; tradotti, trascritti, anagrammati e sfruttati anche da grandi autori. Scansando la rete numericamente immensa e stilisticamente inestricabile di trascrizioni o di reincarnazioni «deboli» (ma come non ricordare l’incipit degli ottoni di All
You Need Is Love, col richiamo rivoluzionario immediatamente soffocato da «Love, love, love» dei Beatles? Era il 1967, guarda caso), operistiche e liederistiche (soprattutto legate Die beiden Grenadiere di Heine), ci limitiamo a ricordare alcune destinazioni strumentali. La prima ostensione sinfonica che viene in mente è inserita nell’ouverture Hermann und Dorothea una delle estreme pagine orchestrali di Schumann; qui l’inno francese ha un ruolo sonatistico e strutturale (è il secondo tema; ed è trattato compositivamente come tale) mentre in un’altra citazione d’autore (nel primo numero di Faschingschwank aus Wien. Fantasiebilder op. 26) il riferimento è fugace e ironico. Spudoratamente teatrale e pittoresca è la presenza plastica nell’Ouverture 1812 di Ciaikovskij, pezzo di gusto circense ma di sostanza sinfonica non plebea che alla Marsigliese intreccia inevitabili onomatopee militaresche e un canto liturgico ortodosso per far trionfare alla fine l’Inno zarista. C’è invece solo un accenno conclusivo in Héroïde funèbre,
ma l’occasione curiosa può esser propizia per ascoltare uno dei poemi sinfonici di Liszt più strumentalmente, timbricamente e armonicamente, contorti (quindi intriganti e “moderni”). A tratti pare di ascoltare una musica di scena, anzi la colonna sonora di un visionario corteo tragico. Frutto della rifusione, in pieno clima quarantottesco, del materiale orchestrale destinato al primo tempo dell’incompiuta Symphonie révolutionnaire
(che dava molto spazio a ottoni e percussioni), Héroïde funèbre ha molti punti in comune - anche la primitiva destinazione encomiastica - con la Grande symphonie funèbre et triomphale di Berlioz (1840) scritta per celebrare il decennale della Rivoluzione di luglio (ma dove la Marsigliese non c’è). Infine tratteggi non pittoreschi di Marsigliese. L’incipit dell’inno, accennato e un po’ storpiato, sfarfalleggia com’eco dispettosa e sarcastica nella dissolvenza conclusiva dei 30” di “Les Courses”, la terza istantanea di Sports et Divertissements di Satie. Più inquietante è lo spettro di Marsigliese che riappare sulla cupa e grigiastra superficie musicale di «Sombre», il secondo dei “Capricci” di En blanc et noir di Debussy. Ispirato alla memoria di Jacques Charlot, nipote dell’editore Durand morto pochi mesi prima al fronte; poi dedicatario anche di Le Tombeau de Couperin, il brano elabora in materiale armonico sfuggente una forma liberamente declamante ma sommessa come un’orazione funebre: la citazione suona quasi come una postuma protesta pacifista.
Per finire in gloria, e ascoltarla tutta, ecco il kolossal: la Marsigliese
(ri)scritta nel 1830 da Berlioz per soli, doppio coro e orchestra oppure la più discreta per tenore, coro e pianoforte (1848).