Il ritorno della lezione privata
Tra i mestieri della musica, quello di dare lezioni private evoca fatiche ingrate, vita grama, noia infinita. Ed è certamente così per uno stuolo molto differenziato di “maestri”: si va dal cantante in disarmo alle prese con quasiesordienti negati da Dio alla musica; al giovane di belle speranze che - in attesa di una sfolgorante carriera o di un onorevole posto statale non può fare molto lo schifiltoso con gli aspiranti pianisti che riesce a raccogliere tramite le conoscenze nel quartiere o le amiche che periodicamente si raccolgono nel salotto di zia o di nonna.
Ieri non era molto diverso. Anzi. Non ne sappiamo molto, perché la grande Storia non si è curata di tramandarci molti particolari su una pratica minore come questa. Ma ne sappiamo abbastanza per esser certi che persino un Mozart aspirasse ad avere “almeno quattro allievi”, scriveva da Vienna al padre, “per far quadrare il bilancio famigliare”. In un caso, almeno, ci trovò soddisfazione, quando tenne a pensione (altro mestiere della musica, che si potrebbe rinverdire) Johann Nepomuk Hummel giovanetto.
Di Beethoven si sa che aveva un discreto numero di allievi: uno è passato alla storia come grande pianista-compositore-didatta, ed è Carl Czerny: veniva ricevuto nel caotico studio del Maestro, tra carte e cartocci, tra pitali e libri sparsi sul
“Il Ministero, corroborato dal parere dei sindacati, ha recentemente reintrodotto la possibilità di far accedere ai diplomi i privatisti”
pavimento. Naturalmente non era, quello, un ambiente adatto a ricevere persone altolocate, come sicuramente era la baronessa Dorothea von Ertmann (dedicataria dell’op. 101 e prima stupefacente esecutrice della Hammerklavier) e ancor più l’arciduca Rodolfo, dedicatario, appunto, di quest’ultima. In tali casi Beethoven si doveva recare negli splendenti saloni di questi suoi allievi, benché, attraverso l’epistolario, sappiamo quanto gli pesasse uscire di casa per dare quelle lezioni: qualsiasi scusa era buona, giorno dopo giorno, per rimandare la lezione. Questa fu certamente la principale attività dei pianisti residenti nelle capitali europee, Parigi in testa, durante tutto l’Ottocento e oltre. Abbiamo notizia soprattutto degli allievi adulti e discretamente, come si dice, “avanzati”. Chopin, poco attivo come concertista, è un caso esemplare: stuoli di devote allieve, abbienti quando basta per sobbarcarsi il costo non lieve delle lezioni, ci hanno tramandato, fra l’altro, fasti e anche leggende sul famoso pianista-compositore.
Si può ipotizzare, allora, che la nascita dei Conservatori abbia ridotto questo fiorente commercio. Nulla di più errato: la pura e semplice speranza di “entrare in Conservatorio”, o di facilitarsi il successo agli esami ha dato un formidabile impulso alla lezione privata soprattutto presso i maestri delle commissioni, i quali, sfiorando il peculato, hanno perfezionato negli anni un meccanismo che potrebbe riassumersi così: “Io esco dalla commissione perché questo candidato l’ho preparato io, e poi tu farai lo stesso con il tuo. Tu giudicherai il mio. Ma, ricordati, io giudicherò il tuo”.
I privatisti hanno così generato un’età dell’oro, soprattutto per i maestri restii a rilasciare fattura. Purtroppo per loro, però, recentemente il Ministro ha sbarrato l’accesso ai privatisti per la semplice ragione che all’Università, a cui i Conservatori pretendono di essere equiparati, i privatisti non ci sono.
La lezione privata è però tra le istituzioni più sacre: il Ministero, corroborato dal parere dei sindacati, ha recentemente reintrodotto la possibilità di far accedere ai diplomi, ancora, i privatisti. La disposizione è transitoria. Ma scommettiamo? - passato il periodo della transizione, si troverà per il futuro qualche altro cavillo per tenerla in vita.