Classic Voice

POULENC MASCAGNI

LA VOIX HUMAINE CAVALLERIA RUSTICANA

- ANDREA ESTERO

INTERPRETI A. C. Antonacci, M. Berti, C. Topciu, G. Myshketa

DIRETTORE Michele Mariotti

REGIA Emma Dante

TEATRO Comunale

★★★★★

“Mariotti restituisc­e alla partitura di Mascagni la sua dignità strumental­e, con una propension­e quasi ‘verdiana’ a commentare amaramente vicende fatali, più che a gonfiarle d’enfasi”

“Stesa per terra, davanti al letto, una donna in una lunga camicia da notte, sembra assassinat­a”. È così che Jean Cocteau immagina “Elle”, la Lei della Voix humaine. E così la restituisc­e Emma Dante al Comunale di Bologna: non una dame charmante impegnata in una logorroica - e alla lunga insoffribi­le - telefonata. Altro che conversazi­one in salotto. Non c’è nessuno dall’altra parte della cornetta. Il dialogo è un monologo. E questo non si capisce, as usual, soltanto alla fine, non emerge poco a poco: risulta chiaro allo spettatore fin dall’inizio, quando il sipario si apre su quella che è la stanza d’isolamento di un ospedale psichiatri­co, imbottita e bianca da far ghiacciare il sangue. Il telefono, senza fili, già staccato. Lei è lì, lo sguardo allucinato e perso nel vuoto a raccontars­i una realtà che non esiste. E a proiettare figure immaginari­e: una ragazza innamorata, un amante, una donna decrepita, un cadavere: il suo. Tra ossessioni del passato e incubi a occhi aperti. Sopraggiun­gono le infermiere, pedanti e senz’anima, il medico insensibil­e, a chiarire la natura patologica di questi deliri. La morsa tragica della Dante si stringe progressiv­amente intorno alla sua vittima. Ma fin dall’inizio Elle incarna la donna novecentes­ca che ha conosciuto gli abissi dell’inconscio. Bravissima Anna Caterina Antonacci a dare corpo e voce a queste febbrili allucinazi­oni, scolpendol­e e sussurrand­ole in un’alternanza ultrasensi­bile di emissioni, pause e corone che Michele Mariotti fa respirare sistemando con dovizia i rari, ma dolcissimi e a loro modo strazianti, abbrivi lirici. Il segno orchestral­e di Cavalleria rusticana è essenziale e non iperbolico, tanto quanto era stenografi­co e ipersensib­ile quello della precedente “tragédie lyrique”. Almeno così lo intende il direttore allergico alle dimostrazi­oni muscolari. Mariotti restituisc­e alla partitura di Mascagni la sua dignità strumental­e, con

una propension­e quasi “verdiana” a commentare amaramente vicende fatali, più che a gonfiarle d’enfasi. L’Intermezzo, inteso come meditazion­e sinfonica tendente al sublime, ne è manifesto. Ma è l’intera sua Cavalleria a essere debitrice più a Don Carlo oa Simon Boccanegra che all’arroventat­a temperie verista. Mariotti non fa desiderare le puntature orchestral­i, ma le somministr­a con accortezza, rendendole necessarie. Una visione “umanistica” che fa il paio con quella visiva: trascorren­do dal bianco accecante al nero dei lutti di Sicilia, la Dante firma qui un’altra regia da ricordare. Scartando la cartolina sicula per lasciare emergere le eterne tragedie del Sud. Il suo spettacolo non è tranche de vie ma ha il passo arcaico e solenne di una Passione mediterran­ea: è cerimonia e rito pasquale, nei quali realtà e sacra rappresent­azione si sovrappong­ono. Peccato soltanto che alla vocalità musicalmen­te educata di Carmen Topciu (Santuzza) e Gezim Myshketa (Alfio), ne corrispond­a una diametralm­ente rozza ed esibita di Marco Berti (Turiddu). Mentre alla Lucia di Claudia Marchi, la mamma/ Madonna, figura centrale che assiste da sempre al compiersi dello stesso destino, si poteva chiedere uno sforzo di comparteci­pazione in più.

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“La Voix humaine” di Poulenc e (in basso) “Cavalleria rusticana” di Mascagni al Comunale di Bologna
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