POULENC MASCAGNI
LA VOIX HUMAINE CAVALLERIA RUSTICANA
INTERPRETI A. C. Antonacci, M. Berti, C. Topciu, G. Myshketa
DIRETTORE Michele Mariotti
REGIA Emma Dante
TEATRO Comunale
★★★★★
“Mariotti restituisce alla partitura di Mascagni la sua dignità strumentale, con una propensione quasi ‘verdiana’ a commentare amaramente vicende fatali, più che a gonfiarle d’enfasi”
“Stesa per terra, davanti al letto, una donna in una lunga camicia da notte, sembra assassinata”. È così che Jean Cocteau immagina “Elle”, la Lei della Voix humaine. E così la restituisce Emma Dante al Comunale di Bologna: non una dame charmante impegnata in una logorroica - e alla lunga insoffribile - telefonata. Altro che conversazione in salotto. Non c’è nessuno dall’altra parte della cornetta. Il dialogo è un monologo. E questo non si capisce, as usual, soltanto alla fine, non emerge poco a poco: risulta chiaro allo spettatore fin dall’inizio, quando il sipario si apre su quella che è la stanza d’isolamento di un ospedale psichiatrico, imbottita e bianca da far ghiacciare il sangue. Il telefono, senza fili, già staccato. Lei è lì, lo sguardo allucinato e perso nel vuoto a raccontarsi una realtà che non esiste. E a proiettare figure immaginarie: una ragazza innamorata, un amante, una donna decrepita, un cadavere: il suo. Tra ossessioni del passato e incubi a occhi aperti. Sopraggiungono le infermiere, pedanti e senz’anima, il medico insensibile, a chiarire la natura patologica di questi deliri. La morsa tragica della Dante si stringe progressivamente intorno alla sua vittima. Ma fin dall’inizio Elle incarna la donna novecentesca che ha conosciuto gli abissi dell’inconscio. Bravissima Anna Caterina Antonacci a dare corpo e voce a queste febbrili allucinazioni, scolpendole e sussurrandole in un’alternanza ultrasensibile di emissioni, pause e corone che Michele Mariotti fa respirare sistemando con dovizia i rari, ma dolcissimi e a loro modo strazianti, abbrivi lirici. Il segno orchestrale di Cavalleria rusticana è essenziale e non iperbolico, tanto quanto era stenografico e ipersensibile quello della precedente “tragédie lyrique”. Almeno così lo intende il direttore allergico alle dimostrazioni muscolari. Mariotti restituisce alla partitura di Mascagni la sua dignità strumentale, con
una propensione quasi “verdiana” a commentare amaramente vicende fatali, più che a gonfiarle d’enfasi. L’Intermezzo, inteso come meditazione sinfonica tendente al sublime, ne è manifesto. Ma è l’intera sua Cavalleria a essere debitrice più a Don Carlo oa Simon Boccanegra che all’arroventata temperie verista. Mariotti non fa desiderare le puntature orchestrali, ma le somministra con accortezza, rendendole necessarie. Una visione “umanistica” che fa il paio con quella visiva: trascorrendo dal bianco accecante al nero dei lutti di Sicilia, la Dante firma qui un’altra regia da ricordare. Scartando la cartolina sicula per lasciare emergere le eterne tragedie del Sud. Il suo spettacolo non è tranche de vie ma ha il passo arcaico e solenne di una Passione mediterranea: è cerimonia e rito pasquale, nei quali realtà e sacra rappresentazione si sovrappongono. Peccato soltanto che alla vocalità musicalmente educata di Carmen Topciu (Santuzza) e Gezim Myshketa (Alfio), ne corrisponda una diametralmente rozza ed esibita di Marco Berti (Turiddu). Mentre alla Lucia di Claudia Marchi, la mamma/ Madonna, figura centrale che assiste da sempre al compiersi dello stesso destino, si poteva chiedere uno sforzo di compartecipazione in più.