MOZART
IDOMENEO INTERPRETI M. Schade, C. Remigio, R. Kelly, E. Sadovnikova, L. Cortellazzi
DIRETTORE Gianluca Capuano
REGIA Damiano Michieletto
TEATRO Manzoni
★★★★★
“Autore, Gianluca Capuano, d’una concertazione magistrale, capace d’articolare tra loro i diversi piani sonori facendo prima di tutto parlare all’orchestra del Maggio un linguaggio pienamente moderno, in grado di rivaleggiare coi più blasonati complessi specializzati in pratica settecentesca”
Decisione infausta, quella d’aprire l’ottantesimo Maggio Musicale non nella prevista Pergola, bensì nel Manzoni di Pistoia. Pare che gli abbonati si siano dati la voce per boicottare l’iniziativa, mentre i pistoiesi (che pure seguono una nutritissima stagione di prosa) non si sono mostrati granché interessati. Risultato: teatro pieno sì e no per metà. Peggio per gli assenti, certo, cui si potrebbe ricordare il famoso detto del marito che vuole fare dispetto alla moglie, e si sono quindi preclusi la messinscena di gran lunga migliore che dell’Idomeneo mi sia capitato di vedere e, con essa, un capitolo fondamentale della storia interpretativa mozartiana moderna. Perché la regia di Michieletto e la direzione di Gianluca Capuano erano in perfetta simbiosi. Autore quest’ultimo d’una concertazione magistrale, capace d’articolare tra loro i diversi piani sonori facendo prima di tutto parlare all’orchestra del Maggio un linguaggio pienamente moderno, in grado di rivaleggiare coi più blasonati complessi specializzati in pratica settecentesca. E poi d’impiegare tale linguaggio per costruire - attorno a dei recitativi “recitati” in modo portentoso - una drammaturgia musicale tesa, incalzante, variegatissima nei ritmi, nelle dinamiche e quindi nei colori, fatti aderire alla gestualità in modo assoluto, nel mentre accompagnava e sosteneva alla perfezione il canto d’una compagnia scenicamente eccezionale, che se aveva un punto relativamente debole nel protagonista Michael Schade (timbro ormai arido come gesso ed emissione così faticosa da vanificare spesso le ottime intenzioni espressive), schierava l’Ilia tenera, dolcissima di Ekaterina Sadovnikova; l’Idamante incisivo, appassionato, vibrante d’una Rachel Kelly oltretutto perfetta fisicamente; e, mezzo gradino al di sopra di tutti, l’Elettra di Carmela Remigio, una torcia viva di rabbia, passione, frustrazione, incanalate in una linea di canto che per stile e per modi di renderlo espressivo costituisce non da oggi modello raramente eguagliato e mai superato. Lo spettacolo di Michieletto nasce nel 2013 al teatro An der Wien, e lo ha rimontato in modo perfetto il suo aiuto Eleonora Gravagnola. Idea base una forma di governo assolutista e basata sulla forza che, nel passare a un’altra più tollerante, si specchia nel rapporto tra un padre e un figlio che per conquistare la propria maturità deve liberarsi del peso della dipendenza paterna, coi relativi sensi di colpa. Idea svolta con ricchezza di particolari straordinari di per sé ma soprattutto per come sanno incastrarsi gli uni con gli altri costruendo un arco narrativo di coerenza granitica. Scena nuda: devastata distesa di fango e pietrisco in forte pendenza, dove il piede affonda e si cammina con fatica, disseminata da scarpe tolte alle vittime (subito ci si ricorda del tremendo discorso di Mordo nella Tregua di Primo Levi) e che i sopravvissuti riempiono di sabbia come a seppellirne gli scomparsi proprietari. Ilia, lacera e stracciata, in avanzato stato di gravidanza, costruisce con esse una sorta d’altare votivo, che Idamante guarda con comprensione ma Elettra distrugge con furore. Idomeneo è preda della classica sindrome da reduce di guerra, incapace di ritrovare la remota quotidianità, preda d’allucinazioni febbrili con le quali guarda al tremendo passato scorgendo un futuro ancor più tremendo. Idomeneo ed Elettra, depositari d’un ordine arcaico e violento, destinati dunque a sparire: lei, inghiottita dal fango e non degnata d’uno sguardo, lui invece vegliato con infinito amore mentre, sullo svolgersi della sublime musica del balletto finale (una volta sempre tagliato, oggi imprescindibile), Ilia partorisce e Idamante solleva estatico il bambino davanti al popolo che non sappiamo più se sia cretese o troiano ma è solo Popolo.
Peccato, ripeto: uno spettacolo di tale levatura storica, e col quale il Maggio ritrova l’antica sua statura, davanti a così pochi intimi. Ma chissene, della capitale 2017 della cultura!