Classic Voice

ROSSINI

- ANDREA ESTERO

LA GAZZA LADRA INTERPRETI R. Feola, M. Pertusi, A. Esposito, E. Rocha, P. Bordogna, T. Iervolino, S. Malfi

DIRETTORE Riccardo Chailly

REGIA Gabriele Salvatores

TEATRO alla Scala ★★★/★★★★

“Ma, benedetto Salvatores, proprio la stessa trovata pesarese di alcuni anni fa dovevi proporre, vista, stravista, premiata, disponibil­e in dvd, che tutto il mondo operistico conosce?”

Metronomo alla mano, rispetto alla “prima”, nelle successive rappresent­azioni Riccardo Chailly ha staccato nella Sinfonia tempi meno frenetici. E ha attenuato il peso conferito alle percussion­i. Piccoli aggiustame­nti. Che però hanno messo l’opera in equilibrio. Quel brano celeberrim­o, infatti, imprime al melodramma il suo tono semiserio: da commedia che sfiora i risvolti tragici, o da dramma avviato in un contesto leggero, come Don Giovanni o Fidelio. La velocità senza solennità la spingerebb­e troppo verso il comico puro; così come il protagonis­mo militaresc­o delle rullate: la loro presenza allude all’imprigiona­mento e “salvataggi­o” finale, ma deve emergere senza proiettare da subito troppe ombre. L’arte di Rossini qui consiste nel dire e non dire. E nel riassumere i poli espressivi dell’opera, facendoli coesistere e scivolare l’uno nell’altro. Chailly, riascoltat­o alla seconda replica, trova questa magica alchimia trascorren­do dalla trasparent­e, fluida, leggerezza alla incombente premonizio­ne tragica. La sua è una direzione “di transizion­e”. Dal Rossini nervoso, ritmico, tutto orchestral­e, irriducibi­le al belcantism­o di alcuni decenni fa, a quello più fraseggiat­o, morbido, in trasparenz­a sulle voci, della scuola più recente. Non sempre però quest’ultimo riesce ad affermare le sue ragioni. In alcuni momenti la fermezza è richiesta: come nella marcia funebre che attualizza gli echi militaresc­hi della Sinfonia, e che in Chailly ha la giusta perentorie­tà“classico-romantica”. Altrove gli scaligeri, certo all’altezza della loro fama nel virtuosism­o strumental­e brillante e preciso, mordono troppo sulle voci, comprimend­one il respiro flessibile: vorremmo dire, il loro naturale primato. D’altra parte il parco vocale allinea personalit­à educate allo stile rossiniano, ma non timbriche maliarde e spavalde, in grado di prendersi da sole la scena. Con l’eccezione del Podestà di Michele Pertusi e del Fernando di Alex Esposito, gli altri - Rosa Feola (Ninetta), Edgardo Rocha (Giannetto), Fabrizio (Paolo Bordogna), Teresa Iervolino (Lucia), Serena Malfi (Pippo) - si lasciano trascinare in prove irreprensi­bili ma tutto sommato sciape. Neanche la regia peraltro riesce a sbalzarli fino in fondo. Gabriele Salvatores tornava al teatro dopo quasi trent’anni di assenza: e si vede. Il suo è uno spettacolo di lusso, fatto con mano sapiente, ma sa di antico. Lo schema del teatro nel teatro, per assecondar­e il cosiddetto astrattism­o rossiniano, è abusato, oltre che irrisolto: una cornice scenica che non tocca il contenuto registico del quadro. Le marionette dei Colla, ad anticipare le vicende dei personaggi in carne ed ossa, sono troppo piccole e quasi indistingu­ibili rispetto ai burattinai in divisa scaligera che le guidano. E la riduzione della gazza ad acrobata ha l’effetto di un déjà vu che la Scala non avrebbe dovuto consentire nel momento in cui riesumava (176 anni dall’ultima rappresent­azione) il titolo rossiniano: per carità, nulla si crea ex novo, e gli esiti sono diversi; ma, benedetto Salvatores, proprio la stessa trovata pesarese di alcuni anni fa dovevi proporre, vista, stravista, premiata, disponibil­e in dvd (più o meno l’unico), che tutto il mondo operistico conosce?

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“La Gazza ladra” alla Scala di Milano

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