ROSSINI
LA GAZZA LADRA INTERPRETI R. Feola, M. Pertusi, A. Esposito, E. Rocha, P. Bordogna, T. Iervolino, S. Malfi
DIRETTORE Riccardo Chailly
REGIA Gabriele Salvatores
TEATRO alla Scala ★★★/★★★★
“Ma, benedetto Salvatores, proprio la stessa trovata pesarese di alcuni anni fa dovevi proporre, vista, stravista, premiata, disponibile in dvd, che tutto il mondo operistico conosce?”
Metronomo alla mano, rispetto alla “prima”, nelle successive rappresentazioni Riccardo Chailly ha staccato nella Sinfonia tempi meno frenetici. E ha attenuato il peso conferito alle percussioni. Piccoli aggiustamenti. Che però hanno messo l’opera in equilibrio. Quel brano celeberrimo, infatti, imprime al melodramma il suo tono semiserio: da commedia che sfiora i risvolti tragici, o da dramma avviato in un contesto leggero, come Don Giovanni o Fidelio. La velocità senza solennità la spingerebbe troppo verso il comico puro; così come il protagonismo militaresco delle rullate: la loro presenza allude all’imprigionamento e “salvataggio” finale, ma deve emergere senza proiettare da subito troppe ombre. L’arte di Rossini qui consiste nel dire e non dire. E nel riassumere i poli espressivi dell’opera, facendoli coesistere e scivolare l’uno nell’altro. Chailly, riascoltato alla seconda replica, trova questa magica alchimia trascorrendo dalla trasparente, fluida, leggerezza alla incombente premonizione tragica. La sua è una direzione “di transizione”. Dal Rossini nervoso, ritmico, tutto orchestrale, irriducibile al belcantismo di alcuni decenni fa, a quello più fraseggiato, morbido, in trasparenza sulle voci, della scuola più recente. Non sempre però quest’ultimo riesce ad affermare le sue ragioni. In alcuni momenti la fermezza è richiesta: come nella marcia funebre che attualizza gli echi militareschi della Sinfonia, e che in Chailly ha la giusta perentorietà“classico-romantica”. Altrove gli scaligeri, certo all’altezza della loro fama nel virtuosismo strumentale brillante e preciso, mordono troppo sulle voci, comprimendone il respiro flessibile: vorremmo dire, il loro naturale primato. D’altra parte il parco vocale allinea personalità educate allo stile rossiniano, ma non timbriche maliarde e spavalde, in grado di prendersi da sole la scena. Con l’eccezione del Podestà di Michele Pertusi e del Fernando di Alex Esposito, gli altri - Rosa Feola (Ninetta), Edgardo Rocha (Giannetto), Fabrizio (Paolo Bordogna), Teresa Iervolino (Lucia), Serena Malfi (Pippo) - si lasciano trascinare in prove irreprensibili ma tutto sommato sciape. Neanche la regia peraltro riesce a sbalzarli fino in fondo. Gabriele Salvatores tornava al teatro dopo quasi trent’anni di assenza: e si vede. Il suo è uno spettacolo di lusso, fatto con mano sapiente, ma sa di antico. Lo schema del teatro nel teatro, per assecondare il cosiddetto astrattismo rossiniano, è abusato, oltre che irrisolto: una cornice scenica che non tocca il contenuto registico del quadro. Le marionette dei Colla, ad anticipare le vicende dei personaggi in carne ed ossa, sono troppo piccole e quasi indistinguibili rispetto ai burattinai in divisa scaligera che le guidano. E la riduzione della gazza ad acrobata ha l’effetto di un déjà vu che la Scala non avrebbe dovuto consentire nel momento in cui riesumava (176 anni dall’ultima rappresentazione) il titolo rossiniano: per carità, nulla si crea ex novo, e gli esiti sono diversi; ma, benedetto Salvatores, proprio la stessa trovata pesarese di alcuni anni fa dovevi proporre, vista, stravista, premiata, disponibile in dvd (più o meno l’unico), che tutto il mondo operistico conosce?