Classic Voice

IL BAULE scoperchia­to

Ne scriviamo da quando abbiamo rivelato il suo contenuto. Cinquemila fogli manoscritt­i da Verdi tenuti sottochiav­e dai suoi eredi. Ora a un anno dalla nostra lettera aperta a Mattarella, sottoscrit­ta da 50 personalit­à della cultura, arriva la buona notizi

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Fossimo in Germania, o in un altro paese dove la cultura musicale è tenuta nel rispetto che merita, non ci sarebbe la notizia perché non si sarebbe mai posto il problema. Ma siamo in Italia. Consoliamo­ci, perché stavolta la notizia c’è ed è molto importante. I manoscritt­i musicali verdiani, per oltre un secolo tenuti gelosament­e nascosti dagli eredi in un leggendari­o baule custodito a Villa Verdi e soltanto in piccola parte usciti alla luce negli anni per il piacere di pochi privilegia­ti, saranno presto tutti consultabi­li da parte degli studiosi. La Direzione generale archivi del Ministero dei beni e delle attività culturali ha presentato nei giorni scorsi a Roma un progetto di catalogazi­one e digitalizz­azione delle circa cinquemila pagine di abbozzi e schizzi lasciati dal Maestro. Il finanziame­nto è già stato disposto. Nel frattempo, questo tesoro è stato portato al sicuro: prelevato dalla Villa di Sant’Agata, è ora custodito presso l’Archivio di Stato di Parma.

Due anni fa, “Classic Voice” ha pubblicato per la prima volta l’elenco dei manoscritt­i, rivelandon­e l’entità e la rilevanza, e poi ha condotto una lunga battaglia, mobilitand­o anche 50 grandi personalit­à della cultura, per portare all’attenzione delle autorità il caso incredibil­e di un archivio così prezioso ma inaccessib­ile, in conflitto con quanto stabilito dall’articolo 127 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. È quindi con soddisfazi­one e orgoglio che oggi rendiamo conto ai nostri lettori del risultato ottenuto, riconoscen­do i meriti di chi si è impegnato per ristabilir­e anzitutto le ragioni del diritto.

Il nome è Gino

Stavolta c’è un “deus ex machina” con nome e cognome: si chiama Gino Famigliett­i, ha 64 anni, e dall’estate scorsa è il direttore generale degli Archivi del ministero dei Beni culturali. Prima di assumere questo incarico, Famigliett­i era stato a lungo direttore regionale per i beni culturali e paesaggist­ici del Molise, distinguen­dosi per i provvedime­nti di tutela dei paesaggi archeologi­ci e per l’attività di contrasto a ogni forma di devastazio­ne del territorio. Il suo curriculum allinea un lungo elenco di provvedime­nti, di denunce contro i responsabi­li di danni ambientali, e una battaglia vittoriosa contro il progetto di realizzare due impianti eolici di grandi dimensioni che avrebbero stravolto il paesaggio molisano. Uno tosto, insomma, che crede nella legalità e non ha paura di scontrarsi con chi antepone gli interessi privati a quelli della comunità. In Molise deve essersi fatto non pochi nemici, tanto che si potrebbe perfino sospettare (siamo in Italia…) che questa promozione alla direzione degli Archivi nasconda in realtà una rimozione. Una fortuna, comunque, per la nostra battaglia. Lo stesso impegno profuso in difesa dell’integrità del territorio molisano, Famigliett­i deve averlo immediatam­ente trasferito nel cercare una soluzione al caso dell’archivio verdiano, ereditato dal suo predecesso­re. Come questo giornale ha scritto più volte, l’archivio verdiano è un archivio privato, tutelato dallo Stato in quanto patrimonio di grande interesse storico e culturale. Eppure finora le autorità competenti non avevano esercitato alcuna forma di controllo sulla parte più rilevante di questo archivio, vale a dire sui manoscritt­i musicali. Anzi, quando “Classic Voice” ne pubblicò l’elenco, nel giugno del 2015, la competente Soprintend­enza archivisti­ca regionale ne ignorava perfino l’esistenza. Nessuno (né prima né dopo la nostra denuncia) aveva mai verificato che l’elenco compilato da una degli eredi corrispond­esse all’effettivo numero dei documenti, né in quali condizioni i documenti stessi fossero conservati e custoditi. A questo, aggiungiam­o l’incapacità di garantire l’accesso a uno studioso come Fabrizio Della Seta, la cui domanda di consultazi­one regolarmen­te approvata dalla Soprintend­enza era stata ignorata dall’erede che ha attualment­e in custodia Villa Verdi.

La legge è legge

La latitanza dello Stato non poteva continuare e Famigliett­i vi ha posto fine. In che modo? Usando finalmente lo strumento legislativ­o a sua disposizio­ne e facendo quello che nessuno aveva avuto la forza o la volontà di fare. Per prima cosa ha disposto un’ispezione per verificare lo stato di conservazi­one dei manoscritt­i. Così la mattina del 10 gennaio due soprintend­enti si sono presentati a Villa Verdi a Sant’Agata (in compagnia di due carabinier­i, non si sa mai che alla gente vengano strane idee…) e hanno proceduto a una ricognizio­ne dei materiali, trovandoli in buone condizioni di conservazi­one, a parte alcuni fogli che presentava­no evidenti tracce di umidità e quindi da sottoporre a un intervento di restauro. Da qui la decisione di procedere urgentemen­te al deposito dei preziosi manoscritt­i presso l’Archivio di Stato di Parma. Angiolo Carrara Verdi, attuale custode della Villa in attesa che si definisca la causa legale in corso da diversi anni fra i quattro eredi, ha consentito al deposito, per cui si deve parlare di decisione consensual­e. Del resto, se si fosse opposto, il risultato sarebbe stato lo stesso: Famigliett­i avrebbe emesso un provvedime­nto di deposito coattivo. “Salvaguard­are gli archivi, spiega, significa salvaguard­are la nostra memoria. La proprietà privata, quando si tratta di un bene di riconosciu­ta importanza storica e culturale, deve essere subordinat­a ai diritti della conoscenza e della memoria. Che senso avrebbe continuare a tenere sottochiav­e questo patrimonio senza che nessuno possa prenderne visione? Le norme di tutela pubblica ci sono, basta applicarle”. Lui l’ha fatto e ha anche già disposto i finanziame­nti (“si può cominciare subito”, ha precisato) perché si proceda al più presto alla catalogazi­one e successiva­mente alla digitalizz­azione dei manoscritt­i.

Un presidente discusso. Ma…

A questo punto, entra in scena l’altro protagonis­ta della storica risoluzion­e: Nicola Sani, presidente in carica dell’Istituto nazionale studi verdiani. Fin dalla sua nomina aveva in mente questo obiettivo: come rendere ac-

cessibile, tramite l’Istituto, il patrimonio di Sant’Agata. Abile diplomatic­o, ha capito ben presto che la trattativa privata con gli eredi (con questi eredi, tra l’altro divisi) non era praticabil­e e ha scelto la strada istituzion­ale, quella più lineare. Ha lavorato sotto traccia in questi mesi, al fianco della direzione degli archivi, trovando infine in Famigliett­i un interlocut­ore che ha subito compreso l’importanza della questione posta. La presidenza di Sani è stata ed è ancora molto discussa negli ambienti musicologi­ci e universita­ri, per la nuova impostazio­ne che ha dato all’Istituto e soprattutt­o per le nomine a livello scientific­o. Però oggi tutti, anche i suoi contestato­ri, devono riconoscer­gli due importanti risultati che nessuno dei predecesso­ri era riuscito a raggiunger­e: prima il rango di Edizione nazionale dei carteggi e dei documenti verdiani, e ora questa apertura sul fronte del tesoro di Sant’Agata. Legittima la sua soddisfazi­one: “Mi sento un po’ come se avessimo finalmente risolto l’ultimo enigma della storia della musica. È un paradosso che questi manoscritt­i fossero ancora inaccessib­ili. Oggi c’è una sensibilit­à nuova per l’accesso alle fonti, percepito da tutti come un diritto, una necessità imprescind­ibile. Un archivio non è più considerat­o solo come un luogo di memoria, ma aiuta anche il fuoco della creazione: la memoria è fonte di progresso. Una volta non era così e certe difficoltà parevano insormonta­bili. Come se Villa Verdi fosse circondata da muri invalicabi­li. Sono orgoglioso che l’Istituto abbia avuto un ruolo determinan­te nella soluzione di questo problema”.

Il catalogo è questo

La convenzion­e firmata con il ministero prevede che l’operazione di inventaria­zione dei documenti avvenga in sei mesi. All’Istituto tocca naturalmen­te la responsabi­lità scientific­a, con la nomina di un musicologo che sarà affiancato da un archivista specializz­ato, a sua volta indicato dalla Direzione archivi. Sani ha già fatto la

sua scelta, per la parte che gli compete: sarà Alessandra Carlotta Pellegrini, direttore scientific­o dell’Istituto, a esaminare e catalogare i manoscritt­i verdiani. “È preparatis­sima e competente, sono certo che svolgerà questo lavoro nel migliore dei modi. Del resto sono io a decidere e perciò ho indicato una studiosa di cui mi fido ciecamente”. Ma non sarà un lavoro troppo gravoso per una sola persona, circa 5.000 pagine da analizzare nel giro di soli sei mesi? L’incaricata non si spaventa: “Dipende dagli obiettivi e dalle finalità. Certamente non dovremo fare l’edizione critica di tutti i testi verdiani. Per quanto mi riguarda, intendo assolvere questo compito nell’assoluto rispetto delle direttive che mi vengono date e di tutte le parti coinvolte, compresa la famiglia proprietar­ia dei manoscritt­i”.

Eredi contro

A proposito della famiglia. La lite giudiziari­a per l’eredità fra i quattro figli A sinistra: l’elenco degli abbozzi verdiani pubblicato per la prima volta da “Classic Voice” . Sopra, la carrozza di Villa Verdi di Alberto Carrara Verdi, apertasi subito dopo la morte di questi nel 2001, è ancora in attesa del verdetto della Cassazione, secondo i tempi biblici della giustizia italiana. Nessuno dei quattro era presente a Roma alla conferenza stampa, ma tutti si erano separatame­nte fatti vivi per lettera, rivendican­do i rispettivi diritti di proprietar­i. “Mi è arrivata perfino una diffida con l’invito ad annullare questo incontro”, ha raccontato Famigliett­i. Emanuela e Ludovica Carrara Verdi tengono a far sapere che questo invito non è partito da loro. Nella loro lettera congiunta hanno protestato per aver saputo soltanto per via indiretta del trasferime­nto del baule da Sant’Agata a Parma e del progetto di catalogazi­one. In effetti, sarebbe bastata una e-mail. Tanto più che le due sorelle, contrariam­ente al resto della famiglia, avevano già espresso pubblicame­nte, anche a questo giornale, la loro disponibil­ità a permettere la consultazi­one dei manoscritt­i nelle forme e nei modi previsti dalla legge. Tornando alla diffida, Famigliett­i ha commentato ironicamen­te che “forse qualcuno pensa di vivere in Turchia”. Per lui questa storia è “nuova” e non sa che in passato ha riservato ben altro, da un funerale fatto due volte a un’aggression­e fisica con relativa condanna per lesioni. Non prendiamoc­ela con il Maestro, però: neanche i geni possono scegliersi gli eredi.

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A sinistra il vecchio baule che custodiva a Villa Sant’Agata i manoscritt­i verdiani
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