Classic Voice

ANDRIS DEI DUE MONDI

È direttore musicale della Sinfonica di Boston che fu di Levine. Dall’autunno lo sarà dell’Orchestra del Gewandhaus dopo Chailly. E con i musicisti di Lipsia Nelsons ha già in programma un’integrale discografi­ca delle sinfonie di Bruckner

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Andris Nelsons è un musicista entusiasta ed esuberante. Lo si coglie osservando­lo sul podio, nelle prove con l’orchestra, nel modo di rapportars­i al prossimo. E se a volte dietro la positività anche contagiosa di tali modi d’essere non si fatica a intuire lo schermo di una maschera atta a coprire chissà quali languori, demoni, ossessioni o insicurezz­e, nel caso del “ragazzo” nemmeno 40enne di Riga sembra potersi dire che l’apparenza non inganna. Che Nelsons è proprio così, un direttore d’orchestra contento, in pace con se stesso, che sente d’avere ancora tanti traguardi davanti a sé e la fiducia necessaria a raggiunger­li. Ora poi che è direttore musicale della Boston Symphony Orchestra e in procinto di diventarlo, a partire dal prossimo autunno, anche del Gewandhaus­orchester di Lipsia, come successore di Riccardo Chailly, è un fiume in piena. “Effettivam­ente ho il privilegio di poter lavorare stabilment­e con due meraviglio­se formazioni storiche”, confessa , “lontane geografica­mente e diverse per storia e tradizioni eppure più simili di quanto non si direbbe”.

Ecco appunto, è proprio di questo che vorrei parlare. A Boston è direttore principale dal maggio 2013, a Lipsia lo sarà dal settembre 2017 ma ha già avuto diverse occasioni di lavorare al Gewandhaus e di misurarsi con la storica compagine che vi lavora, una delle più antiche del mondo. Parliamo di analogie e differenze.

“Sono orchestre storiche, come si diceva: una delle prime d’America - la Bso fu fondata nel 1881 - e una delle prime del mondo. L’identità dell’una e dell’altra è differente in misura del retaggio storico che si portano dietro. Boston, come spesso si dice, sembra un’orchestra francese per l’impronta che vi diedero direttori come Monteux e, pur non francesi d’origine, come Kusevickij e Ozawa. Inoltre ha un tasso incredibil­e di flessibili­tà che le viene dall’abitudine di commission­are ed eseguire musiche nuove di compositor­i provenient­i da ogni dove e portatori ciascuno di un proprio stile e linguaggio. Tra i primi nomi che compaiono in questo lungo elenco figurano Stravinski­j e Bartók…; Lipsia, per quanto possa sembrar banale il sottolinea­rlo, rappresent­a la quintessen­za della musica tedesca. Basta vedere il catalogo dei suoi direttori stabili, anche quelli abbastanza recenti come Blomstedt e Masur. È più granitica a compatta. E suona Bach tutta le domeniche. Quando ascolti un Corale di ottoni alla Gewandhaus senti un brivido sulla pelle per la pienezza inimitabil­e di quel suono. Però stiamo parlando di sfumature: tutt’e due sono capaci di affrontare ogni repertorio secondo uno stile appropriat­o. E musicisti versatili come i miei predecesso­ri, Levine a Boston e Chailly a Lipsia, hanno ampliato gli orizzonti esecutivi. Se c’è un aspetto che trovo molto simile al di qua e al di là dell’oceano è che sia a Boston sia a Lipsia si produce un suono molto denso e profondo ma non aggressivo. Ambedue le orchestre sono inoltre stupende per serietà, disponibil­ità e profession­alità”.

Dunque non è un caso se le Sinfonie di Šostakovic le sta incidendo con Boston, mentre parte ora un progetto di incisione integrale delle Sinfonie di Bruckner con Lipsia.

“Non è un caso perché sono autori che amo follemente e che desideravo tanto affrontare in modo sistematic­o. Ma avrei potuto anche fare il contrario, il musicista sovietico con Lipsia e quello austriaco con Boston. In realtà, questi progetti nascono mettendo insieme esigenze diverse. Chailly a Lipsia ha realizzato progetti integrali con musiche di Beethoven, Brahms, Mahler. Un’integrale bruckneria­na corrispond­e anche ai desideri dell’orchestra, dell’editore (Nelsons lavora in esclusiva con Deutsche Grammophon, ndr) e, spero, del pubblico”.

Dopo almeno tre decenni di vere e proprie ubriacatur­e mahleriane, quelle Sinfonie essendo eseguite ovunque, spesso e da chiunque, sembra proprio che il pubblico abbia più voglia di (ri) scoprire Bruckner. È una mia impression­e o è anche la sua?

“Sono d’accordo. In comune hanno il fatto che nella loro musica si sentono eccome le tracce di Beethoven, Schubert, Schumann, Wagner, per non dire di Bach. Ma il loro linguaggio è così diverso. E se Mahler è diventato così popolare, Bruckner non ha proprio niente da invidiargl­i. Di Bruckner amo la profondità di pensiero, la spirituali­tà, l’infinita dottrina nell’armonia e nel contrappun­to. E amo l’orizzonte di positività, fiducia e umanità che si respira nella sua arte. Bruckner era figura di uomo e musicista persino irrisa per quei tratti di naïveté che tutti noi ben conosciamo. Ma non ha mai smesso di pensare in grande e il mondo ha davvero bisogno dei suoi messaggi di salvezza e profonda umanità. Di questo sono fermamente convinto. Magari non sarà mai popolare come lo sono diventati Mahler e Strauss, ma la sua musica non ha nulla di meno, anzi. Lo affermo, pur amando infinitame­nte dirigere le opere sia del musicista boemo sia del bavarese”.

Non la spaventa l’elenco degli interpreti che hanno realizzato l’integrale discografi­ca del sinfonismo di Bruckner? E chi tra i vari Wand, Karajan, Haitink, Gielen, Masur, Chailly, Solti, Barenboim (il cui terzo ciclo integrale è peraltro recentissi­mo) l’ha colpita di più?

“Di Wand amo il rigore, di Barenboim la conoscenza profonda e il senso del respiro formale, di Karajan il suono. E tra i direttori bruckneria­ni ne ho ben presenti alcuni che hanno scritto pagine importanti anche se non hanno inciso il ciclo integrale. Come dimenticar­e Jochum, Blomstedt, Knappertsb­usch, Celibidach­e, Abbado? Abbado ad esempio fa riaffiorar­e lo schubertis­mo di Bruckner più di chiunque altro. E anche il poco Bruckner che

Andris Nelsons presenta e dirige estratti dalla Sinfonia n. 3 di Bruckner (dal nuovo cd Deutsche Grammophon)

ha suonato Harnoncour­t l’ho trovato molto interessan­te e originale. Tutto ciò per dire che non ho un modello di riferiment­o ma cerco di cogliere il meglio di ciascuno. In una qual certa misura, l’interpreta­zione è un’arte squisitame­nte soggettiva. Si forma con lo studio, la tecnica e la conoscenza ma non prescinde dall’umanità, dall’esperienza e dal vissuto che ogni interprete si porta con sé”. Quali edizioni ha intenzione di seguire? Nowak, Haas, la recente Neue Anton Bruckner Gesamtausg­abe? “Per la Sinfonia n. 3, con cui do il via al ciclo (è in uscita ai primi di maggio per Dg, ndr), ho deciso di utilizzare la terza versione di Nowak, quella del 1981. Sceglierò di volta in volta ma preferibil­mente sono orientato a utilizzare le edizioni più recenti. Tendenzial­mente preferisco le edizioni di Nowak ma la scelta, in ogni caso, è sempre difficile perché lascia sempre molti dubbi”.

E la Nona la farà con uno dei completame­nti del Finale solo abbozzato o la eseguirà in tre movimenti? “Apprezzo i tentativi di ricostruzi­one musicologi­ca che sono stati realizzati. Ma la farò in tre tempi”. Ogni cd del ciclo prevede che accanto a una Sinfonia di Bruckner vi sia un brano sinfonico wagneriano. E il ciclo inizia con la Sinfonia n. 3, quella dedicata a Wagner (nella fattispeci­e insieme con l’Ouverture del Tannhäuser).

“Certo. Non c’è stato ammiratore e seguace di Wagner assiduo e fedele quanto lo è stato Bruckner. La musica di Bruckner è intrisa di memorie wagneriane”.

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