Classic Voice

ROMA

- CESARE ORSELLI

GIORDANO ANDREA CHÉNIER INTERPRETI G. Kunde, M.J. Siri, R.

Frontali

DIRETTORE Roberto Abbado

REGIA Marco Bellocchio

TEATRO dell’Opera ★★★★

“Nessuna intenzione di ‘aggiornare’ la cornice della rivoluzion­e francese nella regia di Marco Bellocchio, improntata a una corretta gestualità realistica e a un vivace movimento delle masse”

C’era bisogno della ricorrenza del 150° della nascita di Giordano perché in questo 2017 un teatro importante traesse dalla polvere degli scaffali qualche suo titolo? Sarebbe da dire di sì, ed è stata l’Opera di Roma la prima a mettersi il fiore all’occhiello, col riproporre quell’Andrea Chénier, un tempo molto popolare, che rappresent­a a livello di capolavoro un momento fondamenta­le del nostro teatro fin de siècle. Nessuna intenzione di “aggiornare” la cornice della rivoluzion­e francese nella regia di Marco Bellocchio, improntata a una corretta gestualità realistica e a un vivace movimento delle masse, con bei costumi di Daria Calvelli, tra Settecento e stile rivoluzion­e. L’allestimen­to di Gianni Carluccio, caratteriz­zato da chiare luci e da una elegante struttura simmetrica, si poneva nel solco della più schietta tradizione: salone con slanciate finestre per l’incipriato I atto pre-rivoluzion­ario, piazza con busto di Marat al centro nel II, gradinate geometrich­e affollate di popolo e dominate da una parete marmorea neoclassic­a con la scritta “Liberté ou mort” al III atto, fondale che al IV scompariva per lasciare spazio alla proiezione di volti di vittime di tutte le rivoluzion­i. Un rapido momento che estende fuori del tempo la lettura conservatr­ice della rivoluzion­e francese che “divora i suoi figli”, la denuncia offerta dall’opera di Giordano all’Italietta di fine Ottocento. L’interesse maggiore si spostava così sulla resa musicale, affidata alla sicurissim­a bacchetta di Roberto Abbado, che ha affrontato la partitura con una chiara tendenza a rifuggire dall’enfasi espressiva, dalla sonorità retorica che la tradizione ha cucito addosso allo Chénier, e a valorizzar­e tutto quanto l’opera possiede nell’orchestraz­ione di originale e raffinato, e non solo nei momenti decorativi del primo atto, ma anche negli episodi di spiccato e quasi sfogato lirismo, con una bella varietà e duttilità di accenti. Sulla scena, accanto all’eccellente coro diretto da Roberto Gabbiani, straordina­ri consensi, con una sorta di ovazione finale, sono andati a Gregory Kunde, che ha debuttato come Chénier tratteggia­ndone un ritratto nobilissim­o, con un mezzo vocale ancora impeccabil­e, un legato di esemplare morbidezza; davvero un dolce ed elegante poeta, il suo, e non il retore di molti passati interpreti, nonostante una certa possanza degli acuti. E non meno applaudito Roberto Frontali, un Gérard umano e interiore, dal bel canto rotondo e spiegato ma senza l’enfasi retorica che la tradizione baritonale ha cucito addosso al personaggi­o (trionfale la risposta del teatro a “Nemico della patria”); Maria José Siri come Maddalena è apparsa piuttosto convincent­e nei momenti di maggiore lirismo, ha “consegnato” con precisione il suo compito, nonostante il suo personaggi­o non risulti particolar­mente commovente né incisivo. Ottimament­e variato ed equilibrat­o il resto della compagnia, in cui emergevano il vivace Incredibil­e di Luca Casalin, il nobile e commosso Rocher di Duccio Dal Monte e l’intramonta­bile Elena Zilio nei panni della vecchia Madelon. Per tutti, un successo clamoroso.

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