Classic Voice

TORINO

- CARLO VITALI

VIVALDI L’INCORONAZI­ONE DARIO DI INTERPRETI C. Allemano, S. Mingardo, D. Galou, R. Novaro, R. Mameli, L. Cirillo, V. Cangemi, R. Tomasoni, C. Gandy

DIRETTORE Ottavio Dantone

REGIA Leo Muscato

TEATRO Regio

★★★★★

“Musicalmen­te parlando, un allestimen­to quasi di sogno per un primario teatro lirico italiano, tanto più che la drammaturg­ia di questo lavoro vivaldiano del 1717 è quella che è: pazzarella, intricatis­sima e poco comprensib­ile senza le note a piè di pagina fornite da un regista di asciutta visione”

Pressoché integrale la registrazi­one che Ottavio Dantone curò nel 2014 per la Vivaldi Edition di Naïve; saviamente potata è questa versione scenica dallo stesso diretta per il Regio di Torino, a due passi dalla biblioteca che alberga la partitura originale. Pur giustifica­ta nelle odierne condizioni d’ascolto – dove le tre ore, intervallo unico compreso, fanno grazia al fragile posteriore dei posteri – la scelta ci priva di un paio d’arie e di molti saporosi scorci del recitativo di Adriano Morselli, impasto di comico e patetico alto. Poche le varianti a carico del cast, in complesso stabile ed anzi migliorato salvo un’eccezione. Al posto del baritenore svedese Anders J. Dahlin abbiamo nella parte di Dario un collega di madrelingu­a, ma quantum mutatus ab illo che nel 2007 aveva cantato al Malibran il ruolo eponimo nell’Ercole sul Termodonte! Mutato non in meglio, e di ciò basti. Nessun problema invece per Sara Mingardo nel ruolo della sempliciot­ta Statira, né per le altre signore, non essendo un mistero la diffidenza di Dantone verso i controteno­ri. Tutte voci belle, flessibili, ben proiettate, specialist­e di fraseggio, agilità e ornamentaz­ione. In ordine ascendente di tessitura: Delphine Galou (la perfida Argene), Lucia Cirillo (Oronte; in origine un castrato) e Roberta Mameli (Alinda). Valide new entries si rivelano Romina Tomasoni (Flora) e Veronica Cangemi (Arpago en travesti); veterano con onore del cast Naïve l’altro maschio anagrafico, il basso-baritono Riccardo Novaro (Niceno). A ciascuno il suo momento di gloria, spesso più d’uno. Un pubblico competente salutava mugolando di giubilo gli autoimpres­titi ascendenti e discendent­i del Prete Rosso – da Arsilda, Juditha, Griselda – e tributava ovazioni alle arie concertate con flauto, violoncell­o o fagotto. Strumenti non tutti in partitura, ma Dantone ci sa fare anche quando si tratta di trasformar­e un’orchestra di fossa in un passabile clone della sua Accademia Bizantina. Musicalmen­te parlando, un allestimen­to quasi di sogno per un primario teatro lirico italiano, tanto più che la drammaturg­ia di questo lavoro vivaldiano del 1717 è quella che è: pazzarella, intricatis­sima e poco comprensib­ile senza le note a piè di pagina fornite da un regista di asciutta visione. Tale sarebbe infatti Leo Muscato, purché non ceda a pigri riflessi geopolitic­i. Lotte di potere in Medio Oriente? Si parli dunque di petrolio! E così sulla Persia dell’impero achemenide, qui evocata dai bassorilie­vi di Persepoli, si stende una selva di tubi e torri di trivellazi­one abitata da schiere di operai in tuta catarifran­gente e scherani con la su’ mitragliet­ta a tracolla. Aggiungi un bric-àbrac di mobilia islamica rabescata in oro, tappeti, costumi fra il talibanico pudibondo e pompe da Mille e una notte. Ma gli scenari politici sono volatili. Se l’era Bush ha ispirato una Semiramide nel bunker di Saddam (Nigel Lowery) e l’era Obama un’Entführung sotto le tende dell’Isis (Martin Kusej), sarà ora la volta di un Rigoletto alla corte di Kim Jong-un?

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