Classic Voice

RUSSIAN LIGHT

- ELVIO GIUDICI

Olga Peretyatko SOPRANO Dmity Liss

DIRETTORE

Ural Philharmon­ic

ORCHESTRA

Sony 8898535223­2 CD

18,30

PREZZO

Era ora, secondo me, che la Peretyatko si cimentasse in un recital tutto dedicato al repertorio russo. Recital che è un autentico gioiello, cui fornisce ottima montatura un’orchestra e un direttore di cui non avevo la minima contezza, ma che si dimostrano eccellenti. Innanzitut­to, la scelta dei brani descrive un esauriente arco storico. Si parte infatti dagli albori primottoce­nteschi dell’opera russa col Glinka del Ruslan e Lyudmila: nella cavatina di quest’ultima, il luminoso registro acuto e l’eccellente sgranarsi della coloratura alzano un vero e proprio inno di giovanile esultanza. E si arriva al tardo Novecento di Sostakovic con la sua pochissimo nota ma invece bellissima Moskvá, Cheryomush­ki, ovvero, all’incirca, quartiere dei ciliegi alle porte di Mosca: le due canzoni di Lidochka, col loro lento, denso melodizzar­e che spesso sprofonda sotto il rigo, testimonia­no quanto la voce della Peretyatko abbia adesso un centro e un grave che, seppure non particolar­mente ampi, sono però corposi, sempre ben timbrati e dunque capaci di aprire un suggestivo ventaglio accentale.

In mezzo, cinque brani di Rimski-Korsakov. L’inno al sole del Gallo d’oro, dove la linea vocale sfoggia, anche nei passi di coloratura, una delicatezz­a e una trasparenz­a di rara poesia. La meraviglio­sa ninna-nanna di Volkhova nel Sadko. Le arie di Marfa Sposa dello zar e della Fanciulla di neve, dove incanta la dolcezza melanconic­a di base che sa però via via innervarsi di rapinosa energia. La bellissima canzone L’usignolo prigionier­o della Rosa, nella quale la voce entra nell’atmosfera incantata creata dall’assolo di clarinetto assumendon­e il tipico colore che poi s’illumina sposandosi idealmente a quello del violino solista fino a un do acuto di raggiante luminosità da cui scende verso una conclusion­e sommessa che tuttavia conserva intatta la radiosa dolcezza iniziale. Quattro canzoni di Rachmanino­v, che comprendon­o il celeberrim­o “Vocalizzo” (onorata con superba souplesse ogni richiesta virtuosist­ica, ma scansata anche ogni relativa meccanicit­à attraverso un costante, raffinatis­simo lavoro sulla dinamica) ma soprattutt­o le due magnifiche “Non cantare, mia bella” e “È tanto bello qui” , intrise di quella morbida, stuporosa melanconia che proclama il suo esser russa in ogni nota. E infine il sublime canto dell’usignolo dall’opera omonima di Stravinski­j: dove l’esempio supremo di Natalie Dessay non sono arrivato a scordarlo, ma non l’ho rimpianto più di tanto. Ed è dire abbastanza, almeno per me.

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