SOSTAKOVIC
illustri in tal senso. E in fondo quest’ultimo esperimento, a differenza di quelli citati, non fa uso di risorse musicali inaccessibili ai tempi del Cantor: quattro/cinque archi suonati a parti reali, un clavicembalo e nulla più. Chi volesse gridare all’oltraggio mostrerebbe di capir poco di prassi esecutiva “autentica” e ancor meno di sintassi musicale. Differenziando il timbro di ciascuna linea, le parti interne - che in Bach non sono riempitivo armonico, bensì vocaboli di un pensiero già polifonico in statu nascenti - emergono col debito rilievo senza nulla detrarre dal dialogo a distanza fra una melodia dall’ornato talora capriccioso e il poderoso contrafforte del basso. Non è proprio easy-listening: dopo un’ora abbondante d’ascolto senza distrazioni si avverte un salutare sudore cerebrale non disgiunto dall’esaltazione dell’escursionista tornato indenne da una passeggiata fra le cime. Del trattamento rivelatore profittano in special modo le Goldberg, troppo spesso imbalsamate dal clima ipnotico cui le destina una tradizione presa troppo alla lettera. Si cominci a titolo di approccio randomizzato con la traccia 24 (Fughetta) o con la 39, dove il violino di Nicholas Robinson spreme l’essenza di un cantabile cromatico aperto su avveniristici orizzonti di tonalità allargata da far invidia alla Seconda scuola viennese. Oppure col breve Quodlibet (traccia 44), di cui non serve conoscere il ribaldo intertesto verbale per capire che il Maestro si diverte a prenderci un po’ in giro prima che il sipario cali con barocca malinconia sulla ripetizione dell’Aria così a lungo rimpallata fra i tornanti del contrappunto canonico.
CONCERTO PER PIANOFORTE, TROMBA E ORCHESTRA OP. SINFONIA N. 9 OP. 70
Martha Argerich
PIANOFORTE
Jakub Waszczeniuk Alexandre Rabinovitch-Barakovsky
DIRETTORE Sinfonia Varsovia
ORCHESTRA
CD Narodowy Instytut F.Chopin NIFCCD 053
18,30
PREZZO
★★★★ TROMBA
Il primo Concerto di Sostakovic è uno dei punti fermi del repertorio della Argerich che ne rivive in modo esaltante i caratteri con il suo irresistibile istinto, la sbrigliatezza sbarazzina di un neoclassicismo ostentato dal compositore con spavalderia e i teneri abbandoni dei movimenti lenti, tratti che ritroviamo in questa registrazione del vivo effettuata a Varsavia nell’agosto del 2006. In questa occasione la Argerich si ritrova con Alexandre Rabinovitch con cui in anni passati aveva condiviso la tastiera, uno dei tanti personaggi che animavano le interminabili serate di “Argerich e i suoi amici”; figura pittoresca anche, con quella sua gestualità particolare e quella sua ipocondria che metteva nel panico i vigili del fuoco di servizio in palcoscenico di fronte a quel piccolo radiatore elettrico che voleva a fianco della tastiera. E tuttavia compagno significativo per la pianista, lui che, dissidente sovietico, conosce il dramma che si cela sotto le note di Sostakovic; per dire come questa esecuzione, pur non essendo Rabinovitch una punta di diamante della direzione d’orchestra, viva di una particolare atmosfera. La stessa che si prolunga nella esecuzione della Nona Sinfonia, sul filo di quella cifra neoclassica che nel Concerto, precedente di una decina d’anni, brilla come un ottone tirato a lustro, mentre nella Sinfonia, così diversa dalle due entro cui si colloca, la grandiosa Ottava e la tormentata Decima, appare più come misura stilistica, haydniana quasi, dietro la quale rimanevano sopite altre intenzioni: da decodificare come, nel ricordo di colloqui privati, sottolineavano interpreti quali Delman, Barshai, lo stesso Rostropovic che col musicista avevano condiviso amarezze e timori. Una problematica questa che i vari interpreti hanno affrontato con varie gradazioni nel dire e non dire dietro il gioco parodistico, ora stemperando il messaggio ora rimarcandone il segno; estremi tra i quali questa esecuzione appare centrata su un apprezzabile punto d’equilibrio.
DELLA FUGA
Accademia Bizantina Ottavio Dantone
Decca 483 2329
18,60
PREZZO
★★★★★
Nella breve nota introduttiva per questa registrazione Ottavio Dantone sottolinea l’esigenza di porre in luce i valori espressivi dell’Arte della fuga senza farsi intimidire dalla straordinaria complessità degli aspetti speculativi della mirabile costruzione che Bach lasciò interrotta al momento della morte. E ritiene che sia un falso problema quello della destinazione strumentale, trovando riduttiva la pretesa